Casa Serena, Caroniti: “Croce voleva chiuderla da tempo”

DarioCaroniti
Dario Caroniti

Sulla vicenda di Casa Serena interviene l'ex assessore Dario Caroniti, da noi intervistato sull'argomento proprio venerdì scorso, quando anticipò alcuni dei passaggi ripresi in questa lettera inviata alla stampa.

“Caro direttore -scrive Caroniti- la decisione del commissario del comune di Messina di chiudere Casa Serena alla scadenza dell'appalto non è una novità degli ultimi giorni. Fin dal suo insediamento aveva dato direttive di non accogliere nuovi ospiti, bloccando già nel mese di settembre un'operazione di trasferimento di dieci disabili mentali da una casa famiglia di Aci Sant'Antonio a Casa Serena.

Non avevo subito compreso il perché di un atto che avrebbe comportato un risparmio per l'amministrazione comunale di circa 400 mila euro l'anno e che non ero riuscito personalmente a portare a compimento a causa della continua rotazione di dirigenti ai servizi sociali (solo nell'ultimo anno se ne sono succeduti ben 4!) imposta dal sindaco Giuseppe Buzzanca e dal suo allora fedelissimo Capo di gabinetto Antonio Ruggeri.

In verità io non avevo mai avuto ufficialmente la delega agli anziani né alle disabilità, ma mi ero ugualmente interessato di quei problemi che notavo continuavano a rimanere senza soluzione alcuna. Tra questi il contenzioso che si era istaurato da circa un anno tra l'amministrazione e la casa famiglia di Aci Sant'Antonio e il mancato adeguamento alle normative sulla sicurezza della struttura che ha ospitato per anni la casa di riposo comunale Casa Serena.

Devo dire che per entrambi si era ricercata con certosina pazienza una soluzione condivisa, ottenendo dei risultati che allora sembravano soddisfacenti. Nessuno però, dal momento della mia decadenza dalla carica di assessore ad oggi, mi ha mai chiesto che cosa avessi fatto in questi anni e se avessi lasciato in sospeso qualche progetto.

Evidentemente il dott. Croce ha pensato di avere preso il posto di persone non in grado di amministrare né tanto meno di dare consigli, venendo meno a una regola della pubblica amministrazione che vuole che la nuova amministrazione prenda le consegne da quella uscente, garantendo la continuità.

In realtà, e devo dirlo a scapito di quanto dichiarato da Buzzanca al momento delle sue dimissioni da sindaco, il programma riguardante i Servizi sociali non si era affatto completato. C'erano in sospeso progetti finanziati dalla Regione dal governo nazionale e dall'Unione europea per oltre tre milioni di euro (e mi piange il cuore ammettere che sono praticamente rimasti fermi alla data della mia decadenza), era in scadenza l'iter per l'avviamento dei bandi della 328 per 14 milioni di euro finalmente sbloccati grazie a un paziente lavoro di raccordo con gli uffici della Regione, ed erano soprattutto in scadenza gli appalti dei Servizi sociali, che garantiscono assistenza a oltre 3 mila persone tra anziani, giovani e disabili e danno occupazione a circa cinquecento lavoratori.

Sulla necessità che i occupazionali andassero rivisti al ribasso c'era quasi un accordo generale, considerati i tempi mutati e le ristrettezze finanziarie, ma si era studiato un sistema fondato sull'accreditamento, che avrebbe evitato in momenti di crisi di ridurre i livelli di assistenza.

Casa Serena1
L'ingresso di Casa Serena

Anzi, grazie proprio alla 328, si sarebbero raggiunti livelli ancora più efficaci (ricordo che Messina, a dispetto di certa diffusa disinformazione, gode di livelli di assistenza praticamente quasi unici in e nel sud Italia).

Certamente, Casa Serena meritava un ragionamento a parte, perché i costi di gestione erano stati storicamente parametrati alla necessità di fare lavorare quante più persone possibile, senza neppure badare alle reali necessità di una struttura per anziani.

A questo si aggiungeva la vetustà della struttura e la necessità di una ristrutturazione e di un adeguamento alle norme sulla sicurezza. A questo proposito, se in una prima fase, all'inizio dell'amministrazione Buzzanca, si era pensato di risolvere quest'ultimo problema grazie a un mega progetto da fare finanziare all'Unione europea senza badare che gli eccessivi costi (circa 5 milioni di euro) non erano rapportati in alcun modo alla disponibilità del capitolo di finanziamento dal quale si pensava di attingere, già da un anno si era concordato di non rinnovare l'appalto per come lo si era fatto le volte precedenti.

Si voleva invece procedere a un doppio affidamento che avrebbe previsto la ristrutturazione e la gestione, accollando l'onere della ristrutturazione alla cooperativa che avrebbe ricevuto la gestione, la quale avrebbe goduto negli anni successivi di maggiori somme, dovute appunto al pagamento degli interventi edili.

Oggi sento che il commissario non ha affatto quest'intenzione e che è deciso a procedere con la chiusura della struttura. Il risparmio sarebbe evidente, pagare la retta agli anziani attualmente ospiti di Casa Serena  costerebbe molto meno che tenere aperta la struttura. Le scorciatoie sono però spesso pericolose. Si pensi soltanto ad un dato.

A lavorare per la struttura sono stabilmente oltre cento persone, alle quali si aggiungono quelle che svolgono attività precarie e di sostituzione. La chiusura metterebbe sulla strada più di un centinaio di famiglie. Esse diventerebbero presto utenti del servizio sociale, costituendo da subito un aggravio anche economico. L'esito peggiore sarebbe però quello degli anziani, i veri utenti del servizio sociale, che transiterebbero da una realtà in cui ogni settimana si svolgevano attività ricreative e di socializzazione a quelle sale d'aspetto della morte che sono la gran parte delle case di riposo private.

È qui che l'aggravio dei costi sarebbe enorme per l'amministrazione perché si tratterebbe di affrontare i nefasti effetti di un intervento non meditato, irrazionale e motivato col metro miope dell'economicità senza avere le conoscenze adeguate per riuscire a realizzare l'economicità stessa. Si pone poi un secondo problema di giustizia. L'eccessivo carico di stipendi è il vero problema dell'amministrazione comunale di Messina, anche se le ultime assunzioni risalgono ad almeno 7 anni fa.

A pagare il conto non possono essere solo alcuni lavoratori a scapito di altri. Già i lavoratori della coop Feluca hanno perso il lavoro. È vero, erano troppi per il servizio che svolgevano, ma non erano i soli! Oggi si parla dei lavoratori di Casa Serena, ma perché dovrebbero pagare loro, quando il buco di bilancio è dovuto alle eccessive assunzioni di Messinambiente e dell'ATM? Non si tratta di fare una tra lavoratori, ma di cercare soluzioni condivise. È difficile farlo con un Comune commissariato e durante una campagna elettorale, ma non ci sono altre strade.

Messina ha gli strumenti e le professionalità per sopravvivere alla crisi. Ha necessità però di quel che finora le è mancato: l'unione delle intelligenze, la fine di un'avvilente guerra per il potere, l'amore per il bene comune ed un pizzico di speranza”.

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