La morte di Attilio Manca e la verità dei RIS

AttilioManca
Attilio Manca

Ci sono voluti otto anni, ma alla fine le deduzioni dei RIS confermano, seppur indirettamente, quello che la famiglia sostiene da sempre: Attilio Manca non si è ucciso. È assassinato e, molto maldestramente per la verità, si è tentato di far passare la sua morte per suicidio. 

“Non ci sono elementi dattiloscopici utili” hanno dichiarato dopo avere esaminato le due siringhe ritrovate nell'appartamento di Viterbo dell'urologo barcellonese. Che tradotto per i non addetti ai , significa che le siringhe sono state maneggiate con i guanti o sono state pulite dopo l'uso. Strana precauzione per uno che, all'improvviso, decide di iniettarsi per la prima e ultima volta in vita sua un cocktail micidiale di eroina e farmaci, risultato poi letale. Tra l'altro, i RIS hanno messo nero su bianco che pur essendo passati otto anni, è da escludere che il tempo trascorso abbia inficiato le prove rendendole inutilizzabili. 

“Finalmente la verità inizia ad emergere -commenta Luca Manca, il fratello del medico morto l'11 febbraio 2004. Con i miei genitori non abbiamo mai smesso di batterci per ottenere giustizia e adesso i fatti ci danno ragione. Una perizia del genere non lascia dubbi: le impronte sono impercettibili. E se davvero fosse stato Attilio ad utilizzare le siringhe, non credo proprio che lo avrebbe fatto impugnandole con i guanti o pulendole dopo l'uso. Non è stato facile lottare per sapere come sono davvero andate le cose, ma la nostra tenacia ci sta premiando. Un fatto è certo: mio fratello non era un drogato e non si è ucciso. Chi ha decretato la sua morte lo ha fatto per coprire qualsiasi collegamento tra determinati ambienti barcellonesi ed il latitante Bernardo Provenzano”.

FamigliaManca
Attilio Manca con i genitori

Di cose strane nella morte di Attilio Manca, urologo di Barcellona specializzatosi alla Cattolica di Roma e poi a Parigi dove apprende una tecnica particolarissima di operazione alla prostata in laparoscopia, ce ne sono troppe. 

La più evidente è che nessuno è ancora riuscito a spiegare come un mancino possa iniettarsi non una ma due dosi di stupefacenti nel braccio sinistro, avendo però cura di ricoprire gli aghi con il cappuccio e di gettarle nell'immondizia. E l'elenco è ancora lungo. Perché da capire c'è anche come una caduta su un materasso gli possa avere rotto il setto nasale. Come un'impronta, una sola tra le decine che avrebbero potuto esserci, resista 2 mesi in un bagno. Ma anche perché si stia tentando con ogni mezzo di far archiviare il caso, che solo grazie alla determinazione della famiglia è ancora aperto.

Manca è stato il primo a utilizzare in Italia una tecnica innovativa di operazione alla prostata in laparoscopia. E forse questa sua rarissima competenza è stata la sua condanna a morte, perché molto probabilmente è stato lui ad operare Bernardo Provenzano in un ospedale di Marsiglia. E come mai Provenzano si fa operare proprio da Manca? Perché sceglie proprio lui? Molto probabilmente perché durante la sua latitanza in quell' felice per i mafiosi che Barcellona è stata per molti anni con complicità locali anche illustri, amici del posto lo hanno messo in contatto con Attilio Manca.

 “Questa è più che un'ipotesi -spiega ancora Gianluca Manca- almeno per quanto riguarda l'intervento o la visita fatti a Provenzano. Ci sono accertamenti che dicono che Provenzano sia stato visitato o addirittura operato da un urologo siciliano con quel tipo di intervento. E qui il campo si restringe, perché allora lo eseguivano pochissimi in Italia, si contavano sulle dita di una mano. Abbiamo chiesto più volte al procuratore Grasso, visto che il campo si restringeva ad un urologo siciliano, di poter capire grazie ai loro mezzi e strumenti, che sono superiori a quelli di Procure decentrate come Viterbo o Messina, chi potesse essere l'urologo siciliano che ha operato Provenzano di tumore alla prostata. Ma nonostante i potenti mezzi del Procuratore Grasso, che non sono certo quelli delle Procure locali, non si è ancora saputo nulla”.

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