L’incredibile storia dell’ebrea Virdimura e delle altre medichesse siciliane
La professione di medico è sempre stata un lavoro molto ambito, non solo per le paghe cospicue ma anche per il lustro che segue un lavoro di studio e ricerca. Gli accademici, però, sono sempre stati restii ad allargare la loro cerchia alle discendenti di Ipazia e spesso hanno riservato loro lo stesso trattamento. Qualcosa ne sa Elisabeth Blackwell, la prima donna medico che negli Stati Uniti fu ammessa nel 1847 alla facoltà di medicina solo perché si pensava che la sua richiesta fosse uno scherzo. Nel XIV secolo, durante il periodo aragonese, in Sicilia le cose erano un po’ diverse. Dopo la pestilenza di metà secolo, ci si rese conto dell’importanza dei medici, indipendentemente dal loro genere. A ciò si aggiunse che le donne erano molto restie a farsi visitare dagli uomini e che alcune pratiche come il parto, l’aborto, la contraccezione femminile, la ricostruzione dell’imene, pratica importantissima per la dignità della donna del tempo e perpetuata, anche a Messina, come si tramanda, fino a una cinquantina di anni fa, e tutte le altre scienze ginecologiche, nonché le malattie riguardanti le ghiandole mammarie, non erano certamente ritenute “cose da maschi”. Fortunatamente, nella comunità ebraica siciliana, e soprattutto nelle famiglie di medici, la conoscenza medica passava ai figli in maniera convenzionale, cioè mandandoli a studiare fuori. Mogli e figlie, quasi sempre, apprendevano terapie, preparazione e somministrazione di pozioni, il maneggiare gli utensili chirurgici come anche le migliori pratiche e, basandosi sull’empirismo, mischiavano medicina ufficiale e rimedi naturali tramandati dalla tradizione. Per tale motivo, molte di queste tatibas (guaritrici in ebraico), erano tacciate di stregoneria come