Dal 28 ottobre 1922 al 25 aprile 1945: una parabola sia italiana che europea

Il 25 aprile festeggiamo a un tempo la fine della Seconda guerra mondiale (1939-1945) e l'uscita dalla storia del regime che si era insediato al potere quasi 23 anni prima: il fascismo. Nato dalla Grande Guerra (1914-1918), figlio legittimo dell'interventismo, quell'indigeribile miscuglio di minoranze esagitate, di destra e di sinistra, che avevano spinto il Paese a entrare nel grande macello bellico, visto da buona parte delle élites, compresi non pochi moderati, come un utile strumento per “rimettere ordine”, per ricondurre a ragione gli operai, i socialisti, le femministe, i contadini ex combattenti vogliosi di terra, il fascismo nacque come “partito della guerra civile”, portando nella vita civile i metodi della “guerra sporca”, la guerra degli “arditi”, e trasformandosi in breve, attraverso un percorso intriso di sangue, in dittatura.

manifesto di ventotene siciliansVietati i partiti, vietato lo , imbavagliati i lavoratori (a cui furono più volte tagliati i salari), messo sotto controllo ogni di autoorganizzazione sociale, fattosi rapidamente monarchico e dal 1929 clericale, il fascismo coniò un linguaggio, creò un bagaglio di simboli, diede vita a un modello politico che puntava a coniugare potere delle élites tradizionali e coinvolgimento subalterno delle masse. Un modello politico che non mancò di trovare imitatori: dal Portogallo di Salazar alla Lituania di Smetona all'Austria di Dollfuss fino alla Germania, dove, nella catastrofe sociale provocata dalla crisi del 1929 andò al potere, con il benevolo consenso dei conservatori, quell'Adolf Hitler che dall'inizio degli anni Venti aveva visto in Benito Mussolini il suo maestro e il suo mentore, tanto da cercar di copiarne, nel 1923 a Monaco, la sua marcia su Roma.

Con l'ascesa al potere del nazionalsocialismo Mussolini si convinse di aver trovato, finalmente, la leva con cui scardinare l'Europa uscita da Versailles, che la sola Italia non aveva la forza di far saltare per aria. Affinità ideologiche, spinte imperialistiche, derive di natura economica fecero sì che l'alleanza tra Italia monarchicofascista e Germania nazista fosse nell'ordine delle cose e si concretizzasse dal 1936 al 1939. L'esito fu la guerra.

Combattuta dal 1939 al 1941 tra l'Asse Roma-Berlino da una parte, e dall'altra quasi il solo Impero Britannico (dopo l'entrata in guerra dell'Italia e la crisi politicomilitare della Francia, entrambe nell'estate 1940), dal 1941 la guerra si sarebbe estesa all'URSS (per quasi due anni ambigua alleata della Germania), al Giappone e agli USA. Diversamente dalla Grande Guerra, questa volta a combattersi non erano solo Stati, ma sistemi politicosociali ed ideali divergenti e contrapposti. Accanto ai fronti di guerra, fratture profonde laceravano le società dei Paesi occupati dalle forze dell'Asse, dove si contrapponevano minoranze desiderose di collaborare e altre decise a resistere. Terreno di elezione dello scontro era l'idea di patria: chi ne era il difensore migliore? Nella stessa URSS, autoproclamatesi “casa del socialismo”, la guerra avviatasi il 22 giugno 1941 fu proclamata da Stalin: “grande guerra patriottica”.

Nelle case madri del fascismo, Italia e Germania, a opporsi erano minoranze; solo la crisi militare e politica del 1943 avrebbe creato in Italia le condizioni per la nascita di una resistenza di massa, quella che già era presente nei Paesi occupati, dalla Norvegia alla Grecia, alla Francia alla Polonia e così via. Lo sforzo congiunto degli eserciti della Grande Alleanza Antifascista e delle Resistenze europee fece crollare il moloch fascista. In Italia ci fu il 25 aprile, in Germania l'8 maggio. Impossibile, dopo la catastrofe provocata nel continente dai fascismi, non dichiararsi antifascisti, e ciò fu la cifra delle costituzioni postbelliche, che coniugano democrazia politica e democrazia sociale.

Ne è sintesi l'articolo 3 della Costituzione Repubblicana del 1948. Parte dell'Europa, quella al tempo cosiddetta “orientale”, avrebbe però dovuto attendere un altro quarantennio per approdare a regimi democratici e liberali: entrati nella sfera egemonica sovietica, di cui costituivano una sorta di antemurale, per loro la parola “antifascismo” divenne copertura di un'altra, diversa, dittatura di minoranza. Il sogno di una Europa unita e federale, tracciato nel “Manifesto di Ventotene” dal miglior antifascismo italiano, sarebbe tuttavia, dopo il 1989, tornato a profilarsi come possibile. Viva il 25 aprile. Contro ogni aggressione armata, per una pace dei liberi e dei forti, per la piena espressione dei diritti di ciascuno, perché ciascuno sia libero di vivere libero.