Signum perfidorum Judaeorum

signumiudeorum
La lapide sulla facciata del Duomo

Nella puntata di “Gran Mirci” del 22 gennaio scorso dedicata alle famiglie ebree della nostra città, avevamo velocemente accennato alla famosa leggenda del Signum perfidorum Judaeorum, della quale rimane ancora un'indelebile testimonianza sulla facciata del Duomo di Messina. La narrazione popolare deriva da un evento storico documentato, verificatosi il venerdì precedente la Domenica delle Palme del 1397 e successivamente trasformato ad hoc dalle autorità cristiane, alle quali serviva un pretesto per ridimensionare il potere delle famiglie ebraiche della città dello Stretto. 

All'epoca, il ghetto nel quale la comunità israelita risiedeva si estendeva grossomodo tra la chiesa dei Catalani e l'attuale via Tommaso Cannizzaro, mentre un'imponente sinagoga era stata costruita su un antico tempio pagano sull'attuale via Cesare Battisti, nel sito adesso occupato dall'Istituto tecnico Jaci. La leggenda narra che un giovane messinese appena uscito dalla cattedrale, si avventurò per le del ghetto intonando a gran voce un inno sacro cattolico, secondo diversi storici il “Salve Regina”. Alcuni ebrei presenti all'interno della sinagoga per celebrare una funzione religiosa, raccolsero quel canto come una provocazione, un'ingiuriosa derisione alla loro cerimonia ed uscirono inferociti dal tempio. Il ragazzo, accortosi della pericolosa situazione, si diede alla fuga ma, in breve tempo, fu catturato e riportato nei pressi della sinagoga. Beffardamente giudicato scimmiottando il processo di Cristo, il ragazzo fu pesantemente bastonato, crocifisso e fu ferito al costato con una lancia. Qualche ora dopo il ragazzo spirò ed il suo corpo fu gettato in un pozzo asciutto che sorgeva accanto alla sinagoga. 

Sempre secondo il mito, il corpo del ragazzo cominciò a sanguinare in maniera spropositata, facendo risalire a galla il del malcapitato ed inondando di sangue le strade del ghetto. La milizia messinese, accortasi dei rivoli rossi che solcavano le strade cittadine, seguirono le macabre tracce e giunti al pozzo del tempio ebraico, si resero conto dell'efferato omicidio perpetrato dalla comunità israelita, trovando ancora nel cortile della sinagoga gli attrezzi usati per la tortura. Dopo il ritrovamento, si scatenò in città un'immediata e violenta caccia all'ebreo, nella quale morirono parecchi innocenti, mentre i rabbini furono rinchiusi nelle carceri della fortezza di Rocca Guelfonia. Avvertite le autorità spagnole, i capi religiosi della comunità ebraica furono immediatamente processati e decapitati. Le loro teste furono esposte sulla sinagoga come monito per gli altri abitanti del ghetto ed una lapide di pietra rossa, con incise le parole “Signum perfidorum Judaeorum” (simbolo della perfidia ebraica) fu murata vicino ad una delle liste di marmo lateralmente alla porta centrale della Cattedrale dove, pur cancellata dal tempo, è visibile ancora oggi, dopo aver resistito ai due terremoti del 1783 e del 1908. 

Le fonti documentano sia l'uccisione del ragazzo messinese da parte degli ebrei, sia la feroce caccia all'uomo e le efferate e sommarie esecuzioni delle principali personalità del ghetto. Il resto, ovviamente, è pura fantasia, versione di comodo per introdurre la volontà divina nella tremenda punizione perpetrata ai danni degli ebrei, troppo potenti e ricchi, secondo spagnoli e messinesi, per continuare ad espandersi nella città dello Stretto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *