MIUR in ginocchio di fronte al coronavirus, Nicoletta Zappardino: “Insegnanti in balia di se stessi”
Nicoletta Zappardino è catanese e insegna spagnolo nella scuola secondaria di primo grado “Edmondo De Amicis” di Tremestieri Etneo. Nel calderone dei precari della famigerata III fascia, quest'anno si trova alle prese con ben 9 classi per un totale di oltre 200 alunni da seguire online. Ha una laurea da 110 in Lingue e letterature straniere conseguita nell'ateneo della sua città. Ha un master di specializzazione e abilitazione all'insegnamento, ma d'inglese, ottenuto all'università spagnola di Valladolid. Quest'ultimo titolo, però, non le è stato riconosciuto in Italia e pertanto è ancora estromessa dal gruppo dei VIP della scuola, gli insegnanti con il posto fisso per intenderci.
Professoressa, quest'anno è per tutti voi insegnanti un bel banco di prova. Ci sono di certo tanti casi come il suo, cioè di precari che alla scuola vanno benissimo nell'emergenza da coronavirus e non, ma che comunque per sistemarsi in modo definitivo devono fare un concorso. L'emergenza COVID-19 ha scoperchiato definitivamente i grandi deficit del nostro sistema scolastico? “Mio malgrado devo rispondere di sì. Dopo la laurea non ho iniziato subito a lavorare perché avevo un bambino ancora piccolo e quando ho deciso di farlo l'unica possibilità è stata quella di andare all'estero per conseguire l'abilitazione e la specializzazione. Qui in Italia il vuoto che si è materializzato tra SISSIS e TFA aveva bloccato tutto. Così, affrontando grandi sacrifici, ho deciso di andare in Spagna. Sono stata fuori un anno e ho speso circa 11.000 euro per pagare il master, il mio soggiorno all'estero, i viaggi da pendolare, tante tasse e altrettante traduzioni giurate, queste ultime necessarie per ottenere l'equipollenza del titolo. Ma il MIUR, dopo una faticosissima guerra fatta di documentazioni e di agghiacciante burocrazia ha risposto “picche” alla mia richiesta, come a quella di tanti altri. Alla faccia della Comunità europea! Secondo me non funziona e non ha mai funzionato, almeno dal punto di vista accademico e scolastico. Per intenderci: se vai a vivere in Spagna, per il loro MIUR non hai neanche la quinta elementare e per farti riconoscere i tuoi titoli di studio e accedere alle loro università devi procedere con richieste e conseguenti pagamenti di tasse e affrontare il tutto a suon di burocrazia, ma per lo meno la loro burocrazia funziona. Naturalmente lo stesso vale per spostamenti al contrario e non solo con la Spagna. Comunque alla fine ho optato per iscrivermi alla III fascia e dopo circa 6 anni di lavoro sottopagato in scuole private per fare punteggio, da quattro sono approdata alle graduatorie della scuola pubblica insegnando spagnolo con la sola laurea. Devo darle poi ragione anche sul fatto che alla scuola italiana i precari vanno benissimo nell'emergenza, da coronavirus e non, ma se vogliono sistemarsi devono fare il concorso”.
Lei lo farà? “Proverò a farlo. Non credo, però, fosse necessario bandirlo. Procedere allo scorrimento degli idonei, cioè dei tanti vincitori di concorsi che ancora non sono entrati di ruolo, al momento avrebbe rappresentato una soluzione a mio avviso più idonea. Fra l'altro i nuovi concorsi, per quello che ho visto, valutano i candidati attraverso batterie di test secondo criteri di conoscenza e non di competenza, mentre la scuola richiede docenti che insegnino agli alunni competenze più che conoscenze. Paradossalmente, di noi insegnanti si valuteranno, insomma, le conoscenze mnemoniche acquisite e non, per esempio, le nostre capacità di interazione. Si tratta di un'ipocrisia, l'ennesima della nostra società che si muove all'interno di un teatro dell'assurdo degno del miglior Beckett”.
La reazione del MIUR di fronte all'emergenza della pandemia. Si è detto di tutto e di più. Qual è la sua opinione su come è stata affrontata la questione e sulla didattica a distanza? “Il ministero non era preparato. Nessuno lo era, è vero, ma francamente questa può essere una giustificazione solo in parte. Per capirci: la tanto decantata didattica a distanza, meglio nota come DAD, di cui da anni si parlava sostenendola come quasi necessaria per i nostri giovani e giovanissimi definiti “nativi digitali”, ha fatto emergere una falla enorme. Se ne parlava, certo, ma nulla si investiva sulla didattica a distanza e di conseguenza i ragazzi erano e sono, a mio avviso, analfabeti a livello digitale. Una percentuale minima di loro sa aprire un file word e scriverci sopra, per esempio. Di fatto sanno solo chattare e stare sui social. La scuola, insomma, decantava la DAD ma al contempo non forniva agli alunni alcuna competenza digitale, se non a quelli delle scuole superiori che seguono specifici programmi dove sono previste tali materie. Il coronavirus ha quindi portato a galla tutto questo, l'ennesima ipocrisia per intenderci. E in due mesi e mezzo, ormai quasi tre, il Ministero è riuscito solo a far avere ai ragazzi qualche tablet o qualche pc, ma non ad aiutare noi docenti fornendoci ciò che più ci serve: delle direttive chiare”.
Insomma, un po' come i medici e il personale sanitario avete dovuto affrontare un “fai-da-te” a cui peraltro noi italiani siamo tristemente abituati. “Concordo di nuovo. E proprio per questi due settori vorrei sottolineare una sorta di paradosso. Sanità e istruzione, il cui buon funzionamento è alla base di una società che possa definirsi democratica ed evoluta, sono state mortificate per anni da ingiustificabili tagli e ora sono proprio i professionisti che lavorano in questi due ambiti, se si eccettuano le “pecore nere”, ad aver dato al nostro Paese prova di estremo zelo e spirito di sacrificio. Medici, infermieri e personale sanitario in generale rischiano tutti i giorni la loro vita e non si sottraggono a stress a dir poco sovraumani. Quanto a noi insegnanti non ci siamo tirati indietro e stiamo lavorando praticamente il doppio di prima e senza orari, mostrando spesso grandi capacità organizzative seppur all'interno di quest'inaccettabile “arte di arrangiarsi”.
Professoressa Zappardino ha accennato alla parola democrazia, ma quale democrazia c'è nella nostra Scuola anche alla luce dell'avvento della pandemia? “Le discriminazioni di natura economica e sociale sono purtroppo un fatto presente nella nostra società che ha la pretesa di definirsi democratica. La DAD ha accentuato le sperequazioni socio-economiche: chi è deficitario a livello economico e culturale ne esce ancor più penalizzato. Il ricco riesce comunque a continuare nel suo percorso educativo, il povero ha grosse difficoltà e continua a vivere il gap che molto spesso in classe noi insegnanti cerchiamo di colmare. Io non ho casi estremi nelle mie classi, ho qualche alunno la cui famiglia non naviga nell'oro, ma a questi ragazzi sono stati forniti tablet e pc. Dove riscontro in prima persona serie discriminazioni è invece con gli alunni DSA, cioè con problemi di disortografia, dislessia, disgrafia o discalculia, per i quali ben poco si può fare a distanza. Nell'emergenza attuale io ho abbassato per tutti il livello di richiesta, ma soprattutto per questi alunni. Meno attività e più tempo per il loro svolgimento, per intenderci. In generale è stata questa la linea della mia scuola, che comunque ha ridotto mediamente le ore alla durata di 30 minuti, anche se in alcuni casi si arriva a 40 o 50. D'altra parte anche per i BES, ragazzini con bisogni educativi speciali che però a differenza dei DSA non rientrano in categorie con disturbi di ambito patologico, la situazione è decisamente peggiorata”.
Come hanno reagito gli alunni di fronte alla Didattica a distanza? “I ragazzi hanno bisogno di guida. Una volta superate però le prime settimane di sconcerto, chi studiava ha continuato a farlo per come ha potuto data la circostanza, anche se con meno stimoli. Chi non lo faceva ne ha approfittato per sottrarsi sempre di più allo studio, magari sostenendo di avere una linea telefonica poco agile o di avere la webcam fuori uso e scomparendo così, spesso e volentieri, dall'aula virtuale. A volte non si tratta di scuse, ma tante altre sì e non tutti i genitori possono seguire i propri figli o perché lavorano o perché non hanno sufficienti risorse culturali”.
Prima ha accennato al problema della valutazione? Come saranno quest'anno gli esami di terza media? “Io quest'anno ho tre terze, ma anche la valutazione degli altri ragazzi, quelli di prima e seconda, mi preoccupa non poco. Di per sé valutare non è facile in tempi di pace, ma se consideriamo l'attuale situazione devo ammettere che purtroppo si tratterà di valutazioni poco realistiche. Il giudizio non potrà mai essere rispondente alle reali competenze raggiunte dall'alunno. Mi spiego: per il momento i ragazzi di terza stanno preparando la tipica tesina su argomenti da loro scelti e approvati da noi professori. Il problema principale, però, è che di fatto noi non possiamo né aiutarli come sarebbe necessario né sapere fino in fondo se ciò che produrranno sarà farina del loro sacco. Negli anni scorsi, per quanto riguarda lo spagnolo, vi era ovviamente la parte della tesina da ripetere in lingua, ma anche un test tramite il quale si valutavano le competenze di espressione scritta e comprensione del testo. Adesso non sappiamo nemmeno se la tesina verrà esposta oralmente in presenziale o solo consegnata on line.
Cosa augurarsi per il futuro della scuola? “In questo futuro prossimo spero vivamente che ove mai l'allarme coronavirus dovesse protrarsi per i prossimi mesi, prima di settembre il ministero possa fornirci un piano di lavoro più strutturato e dettagliato. La DAD, come ho già detto, non era mai stata presa davvero in considerazione fino a oggi nonostante la si osannasse e si denigrasse in qualche modo “la lezione frontale”. Ora, a quel che sento, pare che quest'ultima sia ritenuta di nuovo indispensabile. La DAD è sicuramente migliorabile, ma purtroppo non potrà mai sostituire la relazione umana di empatia che si crea in un'aula stando fisicamente a contatto con i ragazzi e dal punto di vista dell'apprendimento al momento lascia il tempo che trova. Affinché funzionasse sul serio dovremmo ipotizzare, ma per ora è pura utopia, una scuola in grado di fornire mezzi informatici a tutti, alunni e professori. Dopo di che ci sarebbe bisogno di sistemi di rete a dir poco futuristici e comunque di un impianto di comunicazioni internet che reggesse all'impatto e funzionasse al top, cosa che in Italia non mi pare sia garantita su tutto il territorio. Per quanto riguarda, invece, una riforma della scuola e quindi a programmi più a largo raggio, penso sia giunto il momento di pensare a creare classi ridotte, voglio dire con meno alunni, affinché li si possa seguire come meritano senza lasciarci le penne. Basta con i tagli e la troppa burocrazia. L'esercito degli insegnanti va rimesso in piedi e seriamente per il bene della categoria, finora bistrattata, ma soprattutto dei nostri giovani perché come disse Maria Montessori “all'interno del bambino c'è l'uomo che diverrà”. Loro sono il futuro”. Articolo aggiornato il 7 maggio alle 12.17