#Messina. Casa Serena, la lettera dei 12 lavoratori “figli di un dio minore”

Foto simbolo del degrado di Casa Serena, struttura abbandonata a se stessa
Foto simbolo del degrado di Casa Serena, struttura abbandonata a se stessa

Si richiamano a Tennyson e si definiscono figli di un dio . Sono i 12 lavoratori di Casa Serena tagliati fuori l'anno scorso da qualsiasi ipotesi di recupero, che sono rimasti in servizio grazie alle ore cedute dai colleghi. Ma dall'1 aprile saranno privi anche di questo paracadute. In una lunga lettera che pubblichiamo integralmente, loro si raccontano così.

Gentili lettori, vi chiederete chi sono I 12 figli di un dio minore di Casa Serena. In questi ultimi mesi ne avete sentito parlare attraverso la descrizione che altri hanno fatto di noi, utilizzandoci per raggiungere i loro scopi subdoli e antisindacali, mettendoci alla gogna e offendendo profondamente la nostra dignità di persone e lavoratori.

Nel nostro piccolo, ci presentiamo umilmente agli occhi di chi non ci conosce. Questi siamo noi 12, come usualmente ci definisce la stampa: 7 donne e 5 uomini che lavorano dai 18 ai 27 anni a Casa Serena. Persone che pur professionalmente qualificate hanno optato per svolgere il lavoro di ausiliari all'interno della casa di riposo, come richiesto dall'Amministrazione Comunale a luglio 2014 e che sono stati demansionati all'interno della struttura.

Mentre i colleghi della 328 (trasferiti in servizi finanziati con la Legge 328, ndr) hanno fatto la libera scelta di firmare per riqualificarsi e svolgere un'altra mansione all'esterno, scelta dettata anche dal fatto di non dover rimanere a svolgere mansione di ausiliari socio-assistenziali nel posto in cui avevano svolto mansioni superiori per lunghi anni.

In un sistema democratico dove vige la Giustizia, qualunque giudice è tenuto ad ascoltare entrambe le parti, prima di condannare gli accusati. Sino a ora, noi siamo stati il capro espiatorio di tutte le colpe e le malefatte del passato, comprese le frustrazioni più profonde di tanti eventi negativi.

Adesso, è giunta l'ora di dire la verità e come stanno i fatti, facendo ascoltare la nostra voce senza consentire più a nessuno di usarci a proprio piacimento, strumentalizzandoci e offendendoci. Chi sono i 12 figli di un dio minore? Forse quelli che hanno scelto di mettersi in gioco rimanendo sul campo di battaglia dopo tanti anni di lavoro prestato al servizio degli ospiti di Casa Serena?

Forse quelli che non sono stati messi in tempo al corrente dei fatti reali o non hanno deciso di fuoriuscire dalla struttura dove prima svolgevano altri ruoli (amministrativi, assistente sociale, dietista, animatrice, magazziniera e giardinieri), in quanto, dall'1 agosto 2014 hanno preso atto del proprio demansionamento e hanno svolto tutto ciò che fosse loro richiesto attraverso la pianificazione dei lavori?

Forse persone preoccupate, individui di età compresa tra i 40 anni per due di loro e tra i 50 e i 63 anni per il resto del gruppo, con qualcuno addirittura alla soglia della pensione?

Forse quelli che ormai, facendo parte di un piccolo gruppo, non fanno più gola a un grande sindacato come la Cisl che cerca di scaricarli e abbandonarli al proprio destino di disoccupati e disperati. Siamo persone distinte e umili, con una grande preoccupazione dopo quella della vita: quella del posto di lavoro.

Ognuno di noi ha caratteristiche umane diverse, che hanno risposto a questa improvvisa lavorativa con reazioni e atteggiamenti diversi che ci contraddistinguono gli uni dagli altri, in questa sorta di stillicidio che sta diventando una lunga agonia.

Si vuole spezzare le gambe a chi si è messo in gioco per salvare il proprio posto di lavoro e il futuro dei propri figli e delle famiglie dopo 20, 27 anni di sacrifici occupazionali che hanno creato uno stato perenne di precariato? Si vuole punire chi ha collaborato a qualunque attività di ausiliare richiesta (spazzare, lavare, spolverare, buttare la spazzatura, fare i piatti, apparecchiare, predisporre l'office, portare i carrelli alimenti ai piani, accompagnare gli ospiti esternamente, raccogliere le loro richieste e compilare i moduli relativi, riordinare uffici, sostituire al centralino, ecc…).

Oppure, si vuole condannare lo stato emotivo di chi per fragilità non è riuscito a scendere in campo, subendo un profondo stress emotivo ormai comunemente denominato mobbing? Considerato l'origine di tale stress, possiamo definirlo mobbing sindacale, che se esasperato porta alla psicologica vera e propria.

Chiediamo pubblicamente a tal proposito a qualunque sindacato di non infierire sui 12 lavoratori ormai provati da mesi di proroghe e incertezze, attraverso ulteriori articoli che sono divenuti soltanto sinonimo di crudeltà mentale. In modo rispettoso, chiaro e trasparente si sta cercando di non arrendersi e di lottare con tutte le forze per difendere e conservare il posto di lavoro.

Per noi 12 questa è diventata una lotta per la sopravvivenza, senza mai far mancare agli ospiti della Casa che ci stimano e ci sostengono, il massimo impegno nei loro confronti, la cura, l'affetto e un profondo rispetto verso chi è più debole e necessita di vivere nel benessere e in un clima di serenità.

In particolar modo, senza mai far pesare su di loro sotto qualunque aspetto il nostro problema. Inoltre, ognuno per le proprie attitudini e capacità personali, ha affiancato e collaborato con i colleghi che attraverso il loro patto di solidarietà ci hanno consentito in questi mesi di continuare a prestare servizio a Casa Serena e ai quali va il nostro ringraziamento.

Purtroppo, la data del 31 marzo si fa sempre più vicina. Data destinata a vederci fuori dalla struttura definitivamente, in quanto la trattativa privata che sarà espletata oggi prevede solo 40 unità lavorative rispetto alle 52 attuali.

Noi 12 figli di un dio minore ci chiediamo: a cosa mira la Cisl quando scrive come qualche giorno fa questi articoli: “Il merito va a quei lavoratori che se pur professionalmente qualificati… ed ancora.. “Diversamente da chi invece non ha dimostrato vero senso di attaccamento al lavoro e alla stabilità occupazionale”? Di distogliere e spostare l'obiettivo del Dipartimento e dell'Assessore ai Servizi Sociali nel trovare una ricollocazione altrettanto dignitosa per i 12? Di incitare i lavoratori a scontrarsi in una battaglia tra poveri o, ancor peggio, a provocare odio e rancore, spingendoci a comportarci come belve tra di noi o come Caino ed Abele?

Magari, da ciò che il sindacato dimostra in questo momento delicato e doloroso per i 12, sta cercando di scaricare su di noi le scelte, le colpe e gli errori commessi e fatto commettere ai lavoratori che, come noi, in tutti questi lunghi anni gli hanno dato la loro fiducia e fatto gestire la propria vita lavorativa.

Tutti noi che, man mano sino ad oggi, siamo stati costretti a ritirare la nostra adesione e tessera, ricercando un po' di trasparenza in un altro sindacato, l'Orsa, che ha accolto tutti, indistintamente, sostenendo la nostra causa. Nel rivolgerci alle Istituzioni che gestiscono i Servizi Sociali della nostra città, chiediamo di non sentirci più dire: ”I soldi non ci sono più! Sono stati destinati altrove! Aspettiamo, vediamo! Facciamo passare il tempo!”

Ma noi, di tempo non ne abbiamo più. Per favore, consentiteci un nostro diritto inviolabile e democratico: quello di vivere dignitosamente del proprio lavoro, senza mendicare, sentirci ed essere di peso ad alcuno. Se l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro (art.1 della Costituzione) come si spiega che in modo così antisindacale si possano discriminare i lavoratori, non sostenendoli nel loro diritto della conservazione del posto?

Cosa si pensa di ottenere con questi articoli e quale forma di valore etico, morale e sociale si trasmette alle future generazioni che ci tengono come punto di riferimento? In questa nostra bella città, purtroppo, tutto è consentito: offendere, umiliare, calunniare chi non ha voce, chi è in un momento di debolezza, chi ha meno Santi in paradiso.

Essere forti contro i deboli fa sentire eroi, fa gestire il potere, fa decidere sulla vita dei più deboli. Volete che saliamo sui tetti o che ci lanciamo nel vuoto? Che ci leghiamo con le catene o che ci lapidiamo a vicenda per espiare tutte le colpe altrui? Volete delle vittime, fare macelleria sociale. Insomma, che volete da noi? Prendete una decisione, ci rifiutiamo di convivere ancora in questo stato di buio profondo. Deve durare ancora a lungo?

Speriamo proprio di no, perché, l'ultima possibilità a nostro favore è proprio la speranza in coloro che hanno il potere decisionale e gestiscono, nel bene e nel male, i Servizi Sociali di Messina. Anche se 12 figli di un dio minore, condannati al patibolo per mali altrui, lotteremo sino all'ultimo respiro per difendere i nostri diritti e il nostro posto di lavoro.  Anche se quaggiù nessuno ci ama forse lassù qualcuno prima o poi farà giustizia”.

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