Operazione anti-droga “Doppia sponda”, pene ridotte in Corte d’Appello per 5 imputati

SICILIA. Ridotta la pena in Corte d'Appello per 5 imputati del processo denominato “Doppia sponda”.  Queste le condanne per il secondo grado: 5 anni, 5 mesi e 20 giorni per Giuseppe Valenti; 5 anni, 8 mesi e 15 giorni per Marco D'Angelo; 2 anni, 6 mesi e 20 giorni per Gianluca Miceli; 2 anni, 9 mesi e 10 giorni per Alessandro Cutè e infine 2 anni e 8 mesi per Salvatore Di Mento. Per quest'ultimo decisa anche l'immediata scarcerazione. Conferma per altri tre. Revocata l'interdizione perpetua e legale disposta nei confronti di Giuseppe Valenti e Marco D'Angelo a cui è stata applicata l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Revocate le pene accessorie e la libertà vigilata nei confronti di Gianluca Miceli, Alessandro Cutè e Salvatore Di Mento. Gli imputati erano accusati a vario titolo di aver preso parte a un circuito di spaccio di droga gestito da un'organizzazione che si approvvigionava sia in Calabria che a Catania. A presentare appello alla sentenza di primo grado erano stati gli avvocati Cinzia Panebianco, Salvatore Silvestro, Domenico Andrè, Melita Cafarelli, Giovanni Mannuccia e Rosy Spitale. Il processo di primo grado si era concluso il 19 febbraio 2019 con 9 condanne e 1 assoluzione per complessivi 70 anni di reclusione con condanne che variavano dai 21 ai 10 anni. Per i cinque imputati dell'Appello queste erano state le condanne inflitte: Giuseppe Valenti, 10 anni e 7 mesi; Marco D'Angelo, 21 anni e 9 mesi; Gianluca Miceli, 10 anni e 4 mesi; Alessandro Cutè, 12 anni e 5 mesi; Salvatore Di Mento, 10 anni e 3 mesi. Alcuni degli imputati avevano incassato assoluzioni parziali da singoli episodi di spaccio, mentre per i condannati alle pene più alte era stata decisa anche la sorveglianza speciale per due anni. Altre 8 persone coinvolte nell'inchiesta e indicate come i principali protagonisti della vicenda avevano a suo tempo scelto il rito abbreviato definendo così la loro posizione nel settembre 2017. Anche per loro erano fioccate condanne. A infliggere il duro colpo ai trafficanti è stato il Nucleo investigativo dei Carabinieri di Messina, all'epoca comandata del maggiore Ivan Boracchia, il quale per mesi aveva tenuto sott'occhio il gruppo messinese di Mangialupi all'interno del quale, secondo gli investigatori, spicca la figura di Maurizio Calabrò. Quest'ultimo avrebbe avuto stretti rapporti con pregiudicati catanesi e si sarebbe rifornito di marijuana e cocaina anche in Calabria. Ecco perché l'inchiesta fu denominata “Doppia Sponda”. Centrale, nelle intercettazioni, la figura di Calabrò, indicato dagli investigatori come un vero e proprio “capo” del “traffico 2.0”. Molto attivo nelle chat, avrebbe cercato di marcare la sua figura all'interno del giro e i suoi rapporti con gli esponenti delle altre città esibendo anche sui social i segni di riconoscimento e “fratellanza”, come un tatuaggio che aveva mutuato dal suo contatto catanese e che aveva pure suggerito ai suoi.

17. Il Tribunale di Messina