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Rapporto SVIMEZ 2014. E’ allarme rosso per l’economia della Sicilia, deserto delle occasioni perdute

I dati del rapporto SVIMEZ 2014 sull'economia del Mezzogiorno, pubblicati di recente, hanno sollevato il velo sulle conseguenze della crisi che ha colpito il Sud. Se possibile, i dati relativi all'economia siciliana sono ancora più allarmanti.

Vediamo, innanzitutto, il quadro generale. Secondo i dati dello SVIMEZ, nel 2013 il PIL delle regioni meridionali è calato del 3,5%, con una flessione superiore a due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4%).

Il PIL pro capite degli abitanti del Sud Italia è pari al 56,6% di quello del Centro Nord. Quindi, i meridionali dispongono in media di un reddito pari alla metà di quello degli altri italiani.

La crisi, quindi, ha colpito tutto il Meridione e le Isole, anche se con modalità lievemente diverse da regione a regione. I dati della Sicilia confermano la tendenza più generale dell'economia meridionale, con alcuni punti di particolare allarme. Nel 2013 il PIL dei siciliani è stato di 16.152,8 euro pro capite. In media, un siciliano dispone di un reddito annuale che raggiunge solo il 63,5% di quello registrato a livello .

Con buona pace dei ripetuti allarmi sul rischio immigrazione, il saldo migratorio in Sicilia è di segno negativo: nel 2013 la popolazione residente nell'Isola è diminuita di 10,7 migliaia.

L'export siciliano, nel periodo 2012-2013, è calato del 14,8%. L'occupazione, nello stesso periodo, è scesa del  5,3%. Il tasso di disoccupazione giovanile, nella fascia fino a 24 anni di età, ha raggiunto il 54%. Inoltre, più di mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni sono neet, cioè non studiano, non lavorano e non sono nemmeno alla ricerca di un impiego. Con tutta probabilità, questa cifra è al lordo della percentuale di giovani siciliani che svolgono, diciamo così, delle attività professionali alternative, che non sono registrate dai censimenti ma che grazie a una recente direttiva della Unione Europea contribuiscono al calcolo del PIL nazionale.

Infatti, gli unici a guadagnarci da questa situazione sono, purtroppo, le consorterie mafiose e para-mafiose, che hanno a disposizione un enorme esercito di riserva, per dirla con Marx, di potenziale manodopera e possono permettersi di ridurre il costo del lavoro potendo disporre, oltretutto, di un bacino potenziale di talenti, che forse, mutatis mutandis, nemmeno la Silicon Valley si sognerebbe.

Infine, 23.324 siciliani residenti lavorano nel Centro-Nord, mentre il 22,8% degli emigrati siciliani è laureato. Parafrasando Franco Battiato, potremmo dire “Povera Sicilia”. La domanda sorge spontanea: i siciliani cosa fanno? Le istituzioni? Gli imprenditori? La cosiddetta società civile?

Eppure la Sicilia avrebbe delle potenzialità enormi. Lo diciamo sempre nelle chiacchiere in spiaggia davanti l'ombrellone, ma è proprio vero. Abbiamo, forse, ancora l'opportunità di scegliere: puntare verso l'iceberg, come il Titanic, oppure impegnarci in un enorme sforzo collettivo per invertire la rotta. Se non vogliamo guardare in faccia la realtà per noi stessi, facciamolo almeno per i nostri figli e nipoti. La Sicilia non merita di diventare il deserto delle occasioni perdute.

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