Tre giorni, tutto il mondo in Sicilia: dall'Europa all'America e dall'America all'Asia. I sette grandi potenti del mondo si sono riuniti a Taormina, l'oppressione dell'economia e del potere governativo collidono con la poesia, composizione di essere, di arte e di insieme. Il 26 maggio, in contemporanea con il G7 a Taormina, sulle rive dell'Etna si agitava qualcosa di ben più caldo della lava e della politica internazionale. Trentasette poetisiciliani e non, si sono riuniti. Non in una stanza ovale, non attorno a una tavola rotonda e non in giacca e cravatta – almeno non tutti. Ma in un bosco di betulle bianche siciliane, a raccontarsi e prendersi per mano come sanno fare solo i poeti.
Quaranta palermitani, quaranta persone, quaranta scriventi, scrittori e scritti. Quaranta contro Sette. Dal vulcano, sulla punta della Sicilia, fra la neve del Sud, lavica, nera, a ciottoli: terra fertile su cui stendersi, su cui scrivere, fra aghi di pino, radici di betulla bianca e foglie fresche. Miscelarsi con la Madre e con se stessi, laddove è questo il vero potere: la conoscenza. Dell'altro, dell'altro passato, dell'altro nascosto, dell'altro girotondo di cose che sanno fare solo i poeti che capiscono tutto e non sanno niente perché il sapere non è seme, il sapere è un frutto, arriva dopo.
Ma non noi, uomini e donne che resistono e che fanno la rivoluzione con carta e penna, perché più taglienti della spada, perché più civili e sociali di qualsiasi altro armamento, poiché bersagliano la coscienza e non i corpi, lasciando segni indelebili, grafemi per l'umana esistenza, per le epoche e le generazioni che oggi son labili, ma che un domani verranno, crescendo in solida robustezza e accompagnate dai testi che nel quotidiano scriviamo, nell'umiltà e nella bontà dei nostri anni e nella giustizia del nostro pensiero. Cenere noi non ritorneremo, l'oblio non esiste almeno per qualche ora. Il mondo non si scorda, la luce filtra la nostra vera pelle e siamo angeli, piramidi. Tracce importanti che faranno storia come le impronte di Cueva de las Manos o i disegni nelle grotte di Lascaux.
Cia è svedese, una poetessa che scrive con le rime baciate a ogni parola senza finale. E bacia anche la sua figlia bellissima, una piccola fata di qualche centimetro e i capelli biondi appesa a un albero, Rubina. Incanta quella familiarità di coccole, lei che si abbandona al ventre della mamma per sfuggire al forte bruciore sulla pelle bianca e lentigginosa. Cia scrive solo con la matita e Rubina disegna un vulcano che somiglia a un piatto di pasta al forno fumante.
Kamir, 16 anni, è un ragazzo, è quasi un uomo saggio, lo vedo. Insieme a Giuseppe che ripete sempre di aver fatto il compleanno e avere 18 anni e che i sogni siano l'unica realtà. Io li guardo e mi ci confondo all'interno dei loro denti aperti per respirare aria più pulita.
di Alessandro Di Liberto e Gaia Garofalo (Newbookclub Palermo)