Un non vedente è, per biologica vocazione, un veggente. E dunque ogni sipario di nebbia, che gli ostruisca e annienti davanti agli occhi le occasioni e le sfide dei colori, non fa che spalancargli nello stesso tempo un teatro inesauribile di memorie, storie, affetti, eventi di vissuta e penata esistenza. Fioriscono così i Disegni della cecità e le poesie e prose, controcanto dei Disegni, raccolte nell'opera postuma Quaderno a cancelli, pubblicata da Einaudi nel 1979.
Rinchiuso entro le quattro mura della visione interiore, le sue opere pittoriche (disegni tendenti all'astratto tracciati con penna a sfera blu, lapis, pastelli) divengono dizionario di relazioni, computano, nel buio, il ricordo d'ogni creatura cara (Ritratto di Linuccia, Ritratto di Gian Paolo, L'eroe birmano, il Ciclo degli Amanti, che comprende l'unica scultura in bronzo da lui realizzata e altri) e l' impietosa dissezione chirurgica di se stesso e della propria storia (Autoritratti in blu, arancione, rosa, celeste, l'Autoritratto-Gufo con l'occhialino (“[…] Carlo Levi era un gufo, aveva gli occhi scrutatori dell'uccello della notte[…]”, Pablo Neruda), Il gufo Graziadio (Graziadio era il suo secondo nome ), L'occhio torturato dalla luce, Della malattia, L'operazione all'occhio, Il secondo intervento chirurgico, Narciso e Narciso dormiente (emblema della conoscenza di sé), Perdita della madre, Perdita dell'immortalità). Carlo Levi riesce (come probabilmente pochissimi prima di lui) a sollevare la letteratura e l'arte e le loro imposture a una verità e luce di idee fatte carne.