Un grandissimo albero di ficus lasciava intravedere la casa. Ricordo anche un glicine rampicante. Adoravo quel fiore viola, ma l'idea che qualche topolino di campagna grazie a quei rami potesse arrivare fino alle camere da letto mi disturbava un po'. Ricordo il giallo della raccolta di limoni. Ricordo che mi piaceva pranzare con la colazione a sacco seduta sulle cassette di legno insieme in compagnia dei mezzadri. Ricordo il panino con il burro e lo zucchero mangiato sotto il patio di quella antica e grande villa. Ricordo il dolce fastidio che mio nonno mi procurava quando, tutte le mattine, mi tirava i capelli per farmi le trecce. Ricordo le passeggiate in motorino all'interno della proprietà. E il profumo di terra umida delle 17. La zona incantata, il castagneto. In autunno mi piaceva raccogliere i ricci per poi portarli a scuola il lunedì mattina. C'era un sentiero naturalmente creato dalle radici di questi alberi secolari, che portava fino alla ferrovia. Aspettavamo che passasse il treno. E appena sentivamo il rumore delle rotaie sui binari mia nonna mi diceva: preparati a salutare…
Salutare. Dire addio o, meglio, arrivederci. Non si è mai pronti a fare questo. Tutte le volte che dobbiamo dire ciao, chissà per quale strana ragione ci vengono in mente solo i bei ricordi. Quelli più teneri. Ci vengono in mente momenti di vita vissuta che non sembrano esserci mai appartenuti. Forse sarebbe giusto pensarci più spesso a ciò che siamo stati. Ma poi la routine giornaliera ci fagocita senza darci l'opportunità di un ritorno al passato, almeno con la mente. Di un ritorno a quelle piccole ma immense emozioni che ci hanno coccolato e fatto crescere. Eppure, se adesso chiudo gli occhi, io lo sento ancora il profumo del pergolato di uva fragola. Quindi, chissà, forse esiste ancora una vera parte di me.