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#Teatro. Il Vento da Sud-Est di Angelo Campolo che spazza via certezze e illusioni

Nel '68 il nemico da sconfiggere erano le certezze granitiche della borghesia, nel la paura dello straniero. In entrambi casi, l'altro, lo sconosciuto, è quello che ci mette davanti a uno specchio e ci obbliga a riflettere e pensare.

E ascoltare quattro giovani maliani dire il proprio nome e aggiungere come una frustata la battuta “destinato a morire”, motivi per pensare ne dà e anche molti.

Non è un testo drammaturgico in senso stretto Vento da Sud-Est scritto a quattro mani da Angelo Campolo e Simone Corso, tratto da Teorema di Pier Paolo Pasolini e diretto dallo stesso Campolo, in scena alla Sala Laudamo di Messina.

Ma ogni cosa, gesti, musiche, coreografie, battute urlate o sussurrate (in ogni caso tutte con un tratto comune, la rabbia per un'esistenza che non è quella che si vuole, che è stata imposta e dalla quale non sempre si trova la forza di fuggire) è una spinta per andare oltre le battute degli attori.

In Teorema a sconvolgere la vita di una famiglia borghese è un ospite che attraverso il sesso obbliga tutti a guardarsi dentro e, soprattutto, a scegliere. In Vento da Sud-Est l'altro è lo straniero, l'immigrato, quello che fa paura e che con il carico di dolore e tragedia che porta con sé obbliga a rivedere la scala di valori degli occidentali.

Sul palco i bravi Glory Aibgedion, Patrizia Ajello, Luca D'Arrigo, Michele Falica, Claudia Laganà, Giuliano Romeo, Antonio Vitarelli e gli ospiti del Centro Ahmed Mamoudou Camara, Moussa Yaya Diawara, Ousmane Dembele e Jean Goita. Si replica il 13, 14 e 15 novembre, sempre alla Sala Laudamo.

Due le scommesse vinte da Angelo Campolo e dalla compagnia DAF – Teatro dell'Esatta Fantasia di Giuseppe Ministeri: avere ricordato Pier Paolo Pasolini nel quarantennale della morte senza celebrazioni prive di senso ma alludendo alla sua opera, citandola qua e là e calandola nella realtà attuale e avere portato sul palco 5 giovani profughi (4 maliani e una nigeriana) dando loro un'occasione fondamentale di integrazione.

All'uscita dal teatro, quasi a ricordare che sono davvero poche le occasioni date a chi arriva pieno di speranza nel nostro Paese, un giovane migrante chiede la carità e tende verso gli spettatori un bicchiere di plastica. Per lui nessun applauso, ma questa è un'altra storia.

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