Poi un attore viene fuori dall'ombra e inizia a recitare. È Angelo Campolo, che interpreta quella che forse è una rilettura dell'Otello. Dopo di lui, due attrici portano in scena Don Chisciotte e Sancho Panza, per poi lasciare spazio solo alla musica di un carillon, che suona Il Fantasma dell'Opera mentre lo spettacolo del degrado prende forma e si consegna agli occhi increduli di quei venti spettatori.
Oggi pomeriggio, nel padiglione 7A del quartiere fieristico, si è svolta un'assemblea pubblica, aperta a tutti i cittadini e organizzata dal gruppo antifascista che ieri ha preso possesso del Teatro, dando vita a un'occupazione volta a “regalare alla nostra città un momento di allegria, di bellezza, di creatività, di lotta e di confronto”, come si legge nel comunicato.
Dopo la visita del teatro, dunque, è stato il momento del confronto. Gestione privatistica degli spazi pubblici, credibilità dei soggetti che hanno avuto in custodia uno spazio -come appunto quello del Teatro in Fiera- lasciato marcire, responsabilità estese a tutta la cittadinanza, e ancora urgenza di individuare aree di incontro, necessità di trasparenza nella realizzazione di progetti, spese insostenibili per poter utilizzare gli spazi della Fiera: questi i temi principali affrontati dagli oratori. Che sperano nella nascita di una coscienza collettiva pronta a reclamare quello che spetta di diritto ai cittadini: spazi di aggregazione, voce in capitolo nelle decisioni istituzionali.
“Questo teatro è l'emblema della città di Messina: cade a pezzi senza che nessuno se ne accorga e senza che nessuno intervenga”. Sono le amare parole di Maria Certo, una dipendente dell'Ente Fiera, presente come altri suoi colleghi all'incontro. “Niente si fa a costo zero, neanche i progetti più belli e virtuosi. La Fiera richiede dei costi molto alti: ogni anno per i quindici giorni della Campionaria l'Ente Fiera paga all'Autorità Portuale un centinaio di migliaia di euro per l'affitto degli spazi, per la vigilanza anti-incendio e per quella armata. Bisogna guardare alla realtà per ripartire e per immaginare nuovi utilizzi di questo spazio così ricco di poesia”.
L'occupazione del Teatro dunque è cominciata e continuerà a oltranza. Ma non c'è ancora un vero e proprio progetto che legittimi le motivazioni portate avanti dagli occupanti. L'impressione è quella di una grande festa e difatti il vino non manca. Ma la realtà ci mostra un edificio, nato per ospitare cultura, che si adagia lentamente sulle sue macerie, un'immagine che altro non è che uno specchio in cui si riflette l'identità della città. E forse è questo il dramma più grande che un teatro possa rappresentare.
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