#Messina. Leggenda e storia di una città
Una leggenda nata nel sedicesimo secolo vuole che Messina sia stata fondata da un giovane di pelle nera, Grifone, che, arrivato dall'Africa sulle rive dello Stretto, si sarebbe unito con una donna bianca delle sue stesse dimensioni, Mata, e avrebbe creato la prima colonia messinese. Altre leggende raccontano di Nettuno che con un colpo di tridente separa l'isola dal continente, e di Saturno, che lancia dall'alto la sua falce, creando il porto di Messina e fonda il primo nucleo abitativo peloritano.
Ma in realtà, anche se insediamenti umani esistevano dove oggi sorge Messina da tempo immemorabile, si può cominciare a parlare di agglomerato urbano a partire dall'ottavo secolo avanti Cristo, quando un folto gruppo di greci calcidesi vi si stabilì e chiamò la nuova città Zancle, falce, dalla forma del suo porto naturale. Da allora, Messina conosce innumerevoli dominazioni che si protraggono per centinaia di anni. I dominatori sono greci, mamertini, romani, bizantini, arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi, castigliani, spagnoli, asburgici, ancora spagnoli e borboni.
Sono secoli in cui Messina si espande, diventa veramente città, tra le più importanti del mondo occidentale di allora, si arricchisce di palazzi, di monumenti, di attività economiche ampiamente remunerative. E' favorita dai normanni e dagli svevi, che le concedono numerosi privilegi. Gode di ampia autonomia, batte moneta, usufruisce di un porto franco frequentato abitualmente dalle navi mercantili di tutto il mondo, e gareggia con Palermo per il primato nell'isola. Fonte della sua ricchezza è soprattutto il porto. E non a caso Messina viene scelta dall'intera cristianità perché nel suo porto si concentri la potente flotta che il 17 ottobre 1571 avrebbe sconfitto i saraceni nella battaglia navale di Lepanto. Da lì partono le galee pontificie, la flotta veneziana, l'intera armata spagnola, le navi genovesi, napoletane, palermitane, dell'Ordine militare di Malta, tutte guidate da don Giovanni d'Austria. E lì ritornarono per i solenni festeggiamenti dopo la vittoria.
Tra gli spagnoli che hanno preso parte alla battaglia c'è un giovane che era stato ferito ad una mano da un colpo di archibugio e che a Messina subisce l'amputazione dell'arto. Si chiama Miguel Saavedra de Cervantes e qualche anno dopo scriverà il “Don Chisciotte”. Ma Messina, negli ultimi trecento anni, è vittima di tre eventi disastrosi che la privano di gran parte delle ricchezze. Il primo è una vendetta, consumata dagli spagnoli. Nel 1674 la città si ribella alla dominazione iberica e chiede protezione al re di Francia. In un primo tempo Luigi XIV, il re Sole, accetta l'invito e manda le sue navi a difesa della città.
Ma nel 1678 stipula con il re di Spagna la pace di Nimega e abbandona Messina al suo destino. Ritornano gli spagnoli e la repressione voluta dai nuovi viceré, il conte de Bonavides, è inesorabile. Ogni autonomia è abolita, il Senato cittadino è raso al suolo, l'Università, la Zecca, e il porto franco vengono chiusi, i ribelli, i loro familiari e amici sono imprigionati o uccisi, le biblioteche devastate, i libri e i documenti più preziosi trasportati a Madrid, inasprite le tasse e imposta la dogana su ogni merce. Ne segue un vero e proprio esodo di gran parte della popolazione e l'indebolimento delle principali attività economiche, a cominciare da quelle portuali e della lavorazione della seta.
Il secondo evento tragico è il terremoto del 5 febbraio 1783. La città ne è sconvolta. Crollano il campanile del Duomo, il palazzo reale, la lunga serie di edifici collegati che si estendevano per oltre un chilometro lungo la cortina del porto e che prendevano il nome di “Palazzata”, l'Arcivescovado, il Teatro marittimo, gran parte delle abitazioni e dei monumenti cittadini. Scompare del tutto il quartiere degli artigiani. E tuttavia Messina risorge, anche se molti elementi che avevano caratterizzato la vita della città fino a quel momento erano stati cancellati per sempre.
Ma 125 anni dopo, alle 5.20 del 28 dicembre del 1908, l'evento più catastrofico. Ancora un terremoto che sorprende nel sonno gli abitanti di Messina. Questa volta la distruzione è totale. Il numero dei morti non è mai stato accertato con precisione, sessantamila secondo alcune stime, ottantamila secondo altre. E lo spettacolo che si offre ai primi soccorritori marinai italiani, russi, americani, è tremendo. Sbarcano a terra con difficoltà, tra le rovine della cortina del Porto. E trovano soltanto macerie, cadaveri, feriti e ustionati dagli incendi che si propagano dappertutto dopo le scosse telluriche, scene di disperazione e superstiti inebetiti. Giorni dopo, quando si comincia a fare un bilancio della tragedia, c'è chi propone addirittura che ciò che resta di Messina sia fatto saltare con la dinamite e che la città sia edificata altrove.
Lentamente nasce un'altra realtà urbanistica, più o meno quella che conosciamo adesso, anche se i bombardamenti americani del '43 e la speculazione edilizia degli anni '50 hanno inferto gravi colpi al tessuto urbano. Della vecchia Messina, però, resta quasi nulla. Ora è una città con pochi ricordi tangibili del passato, che trae le sue risorse economiche soprattutto dal terziario. Una città gradevole soprattutto per il suo ambiente naturale, tra i più suggestivi al mondo.