L’ombelico del mondo. Perché le differenze culturali possono essere un’opportunità (non solo) di business
“Culture, organizzazioni e performance. Idee e pratiche per coltivare l'intelligenza culturale”. L'evento, organizzato dalla LUISS Business School di Roma, è stato l'occasione per fare il punto sulle teorie e le pratiche manageriali, per gestire e valorizzare le differenze culturali nelle organizzazioni.
Come mai l'università della Confindustria, che non è una ONG antiglobalista, ha organizzato un convegno sulla gestione e valorizzazione delle differenze culturali? Forse perché preoccuparsi della relazione con l'altro, oltre ad essere politically correct, fa tanto bene al business.
Richard Florida, uno dei più autorevoli studiosi di economia creativa, sostiene che l'apertura mentale, non solo alle differenze culturali, è uno degli ingredienti fondamentali per lo sviluppo delle cosiddette creative city.
Se allarghiamo il concetto ai territori, possiamo osservare che la mitica Silicon Valley, luogo di elezione dell'innovazione tecnologica, è per definizione un microcosmo multietnico, dove si incontrano Oriente ed Occidente, Nord e Sud del mondo. Del resto, uno dei fondatori di google si chiama Sergey Mikhailovič Brin ed è un russo naturalizzato americano.
E l'ossessione di Steve Jobs per il segno, che sta alla base della cultura del design di Apple, è nata anche grazie all'incontro con la cultura orientale, in quella San Francisco ponte con l'Oriente che è stata non a caso anche la città di Bruce Lee. A favorire i processi di innovazione non è solo la grande disponibilità di capitale umano, ma anche la contaminazione tra culture e identità diverse, che favorisce i processi creativi.
Pure le imprese, ed è questo il tema centrale emerso dal convegno, possono trarre beneficio dalle differenze culturali. Infatti, le aziende più innovative sono, spesso, anche quelle con un maggiore tasso di diversità (non solo) culturale. Google, Facebook e Disney-Pixar, tra le altre, sono aziende che fanno della multiculturalità un fattore di vantaggio competitivo. Geert Hofstede, uno dei guru del management interculturale, nel suo intervento in teleconferenza ha sottolineato che le differenze possono essere un'opportunità per molte aziende, se gestite con consapevolezza ed intelligenza.
La Sicilia è un ponte naturale tra Nord e Sud, Oriente e Occidente. La nostra storia è stata scritta dai tanti popoli che l'hanno conquistata. La vocazione all'incontro con l'altro dovrebbe essere nel nostro DNA culturale. Per questo non dobbiamo cadere nella trappola di chi vuole farci credere che l'immigrazione sia solo un problema di ordine pubblico e la relazione con altro una minaccia per la nostra identità.
Al contrario, la Sicilia ha un bisogno maledetto di riaprirsi al mondo. L'isola che è sempre stata al crocevia dei grandi eventi della Storia, deve tornare ad essere il ponte tra l'Occidente e gli altri mondi, a Nord e a Sud, ad Est e a Ovest. E questo vale anche e soprattutto per il nostro sistema produttivo. Le imprese dell'Isola hanno bisogno di crescere e internazionalizzarsi, il nostro turismo deve diventare sempre più poliglotta. Dobbiamo sviluppare una economia glocale che guardi al mondo, valorizzando nel contempo la nostra cultura e i nostri punti di forza.
Siamo la terra, tra gli altri, di Archimede, Federico II, antonello, Bellini, Verga, Pirandello, Quasimodo, Majorana, Luigi Sturzo e Sciascia. Non dovrebbe essere difficile ritornare ad essere, nel nostro piccolo e modestamente, uno degli ombelichi del mondo.