Il vampiro dello Stretto, capitolo 16

La frenata iniziò prima che toccassi terra e finì poco dopo. Rotolai in modo da poter vedere la macchina, ferma nella strada col posteriore un po' di sbieco. Si aprirono entrambe le portiere e apparvero due ragazzi: lui, un trentacinquenne bene in carne che corse al piccolo trotto verso di me, con un'ombra di panico sul volto, anche se non riuscii a capire se fosse paura di avermi ucciso o paura di finire in galera. Lei, sulla ventina o poco più, tirò fuori le gambe ma rimase seduta con una mano a tenere lo sportello. Aveva lo sguardo attento e timoroso di una gazzella che fiuta il pericolo ma non ha ancora scorto il predatore.

– Oh cazzo! – Boccheggiò lui vedendo il volto straziato dalla lotta della sera prima che io stesso non avevo ancora visto. Mossi una mano verso di lui come a chiedere aiuto e si avvicinò, già sollevato nel vedere che non mi aveva ucciso. – Teresa! Non è morto!

– Vieni qui, – Sussurrai, – è importante… – Si inginocchiò senza pensarci un attimo, doveva essere un bravo ragazzo. Mi sentii in colpa per aver pensato che si preoccupasse per sé. Allungai una mano fino alla sua nuca affinché portasse l'orecchio alla mia bocca. Con l'altra mano, nascosta alla vista della ragazza dal corpo di lui, tappai la bocca del ragazzo e morsi. Finalmente sangue umano correva bollente nella mia gola! Mi sentii meglio in un attimo, anche se la Sete non si ritirò in buon ordine come al solito: si limitò a concedermi un po' di tregua, ma capii subito che non mi sarebbe bastato.

– Giovanni? – Sentii chiamare dalla macchina. Una voce femminile che senza la pesante cadenza dialettale avrebbe potuto essere molto sensuale. Le feci vedere quello che volevo io e cioè il suo fidanzato accasciarsi su di me, come vittima di un malore. Continuai a bere dalla giugulare aperta sul collo anche con il corpo di lui sopra di me, ignorando i continui appelli della ragazza. Quando capii che non avrebbe fatto altro se non continuare a belare come una pecora che ha smarrito la via dell'ovile, cominciai a chiedere aiuto con un filo di voce. Alzai anche un braccio per richiamarla, ma solo per un secondo, poi lo lasciai cadere come se quel gesto mi fosse costato tutte le mie forze. Per fortuna vinse la paura in poco tempo: anche se era tardi eravamo fermi lì da un pezzo, l'ansia di veder spuntare un altro paio di fanali cominciava a farsi sentire.

– Giovanni? – Continuò a belare, muovendo un passo per volta sui volgarissimi stivali laccati, – Che cos'hai? Rispondimi! – Da dove mi trovavo, vidi gli stivali fermi sulla strada, a pochi passi dalla macchina, timorosi sia di venire avanti che di tornare indietro.

– Svenuto…svenuto… – Esclamai in maniera soffocata, per esortarla a fare qualcosa e lei fece altri due o tre passi, prima di fermarsi di nuovo. Non potevo permettermi che capisse qualcosa senza averla prima presa e con quel suo stupido esitare mi stava rendendo la vita difficile. Spinsi di lato il cadavere e mi avventai su di lei, concedendole solo il tempo di un urlo strozzato e pieno d'orrore. La colpii per stordirla e la presi tra le braccia prima che finisse a terra. Aveva un profumo dolce e gradevole, invitante come una pesca matura. Mi caricai il ragazzo sulle spalle e finii di nutrirmene, dopodiché lo gettai sul sedile posteriore. Recuperai anche lei e la misi a sedere accanto a me. Mi misi alla per un breve tratto fino a trovare uno slargo in un tornante, tipico rifugio improvvisato di coppiette in cerca di effusioni.

Una volta lì, fugata la paura di essere interrotto mi dedicai a Teresa, che feci caritatevolmente passare dal sonno alla morte. Prosciugai entrambi di tutto il sangue possibile, ma sentii che avrei volentieri continuato con un altro paio di coppiette. Solo il pensiero dei dolori della guarigione che mi attendevano, mi fece ragionare. Sistemai Giovanni al posto di guida, misi le cinture ad entrambi e sedetti su di lui. Solo dopo guardai per la prima volta nello specchietto retrovisore, un gesto automatico atto a migliorare la visuale posteriore: il mio volto portava ancora i segni della lotta col vichingo. Era tutta roba che sarebbe sparita dopo un giorno di riposo, specie con tutto il sangue che avevo bevuto, a parte l'occhio. Il bastardo nella lotta mi aveva portato via l'occhio sinistro e non me ne ero neppure accorto. (Continua il 6 agosto).

Paolo Failla

Sano di mente nonostante un'infanzia con classici Disney e cartoni animati giapponesi, il battesimo del fuoco arriva con i film di Bud Spencer e Terence Hill, le cui opere sono tutt'ora alla base della sua visione sull'ordine del cosmo. Durante l'adolescenza conosce le opere di Coppola, i due Scott, Scorsese, Cameron, Zemeckis, De Palma, Fellini, Monicelli, Avati, Steno e altri ancora. Su tutti Lucas e Spielberg . Si vocifera che sia in grado di parlare di qualsiasi argomento esprimendosi solo con citazioni varie. Ha conosciuto le vie della Forza con una maratona di Star Wars di oltre 13 ore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *