Il signor Girone, capitolo 9

Quando si rimise per strada stava già iniziando a fare buio. Se ne sorprese, non credeva di aver trascorso tutto quel tempo con la Giusy. Tuttavia non era grave, era domenica in fondo. Si sarebbe goduto la passeggiata fino a casa, poi pantofole e veste da camera finché ne avesse avuta voglia. Ma senza fare troppo tardi, l'indomani mattina avrebbe dovuto…
– Ehi tu. – Sobbalzò al richiamo, convincendosi che era stato solo colto di sorpresa. Conosceva di vista quel tipo, lo aveva incrociato in un paio di occasioni, entrando o uscendo da casa di Giusy. Doveva avere una ventina d'anni meno di lui, la pelle era dorata al punto da far dubitare delle sue origini italiane. Si chiamava Vanni, uno dei tanti sfaticati attaccabrighe della zona. – Dico a te, Frodo.
– Come dice, scusi?
– Sei stato da lei, vero?
– Io veramente…
– Non mi va che t'infili tra le sue cosce. Quando decide di portarsi a letto qualche povero coglione deve stare bene a me, prima che a lei. – Sentenziò avvicinandosi con aria minacciosa, – E non mi sta bene che un mezzo uomo come te si scopi quella ficona. Non lo trovo giusto. – Il signor Girone indietreggiò di un passo senza sapere cos'altro fare. – E non m'interessa se puoi pagare, non voglio che tu le stia vicino e basta, capito? Mi fa schifo pensare alle tue zampette da sorcio che la toccano!
– Ma io…
– Che cosa c'è? Vuoi dire qualcosa? Non ti sta bene? – Lo canzonò spintonandolo, – E forza allora, fatti sotto! Coraggio! – E giù un altro spintone, – Che aspetti? Io sono qua! – Il signor Girone rimase in silenzio e col capo chino; l'esperienza gli aveva insegnato che quella posizione era ideale per proteggersi da quel genere di burrasche. Vanni si accontentò di un altro spintone, quando vide che quel povero cristo non aveva la minima intenzione di reagire.
– Sì bravo, guardati le scarpe. La prossima volta ti butto nel cassonetto con le gambe rotte. Fila. – Quando lo vide girare le spalle e allontanarsi senza una parola, non resistette alla tentazione di rifilargli un calcio nel sedere. Il signor Girone non batté ciglio, sebbene la vergogna per l'umiliazione fosse quasi pari alla paura.
Rosso in volto e con la voglia di passeggiare ormai lontana, non ebbe difficoltà a tornare coi piedi per terra, convincendosi sempre più che la parentesi con la Giusy non era stata altro che l'ennesimo capitolo della sua , il più subdolo e doloroso. È facile abituarsi alle disgrazie, se non hai qualche momento felice che ti ricordi com'è una vita normale. Era già buio e non gli andava di prendere l'autobus o la metro, ci faceva sempre brutti incontri.
Era l'ora del passeggio, i marciapiedi erano affollati come di consueto e quella massa pulsante di cappotti e sguardi sdrucciolevoli gli sembrava un'ameba che non faceva altro che fagocitarlo ed espellerlo in continuazione: ogni volta che veniva sputato fuori da quella massa si sentiva ogni volta più svuotato e inutile. Arrivò a casa ansioso soltanto di mangiare un boccone prima di tuffarsi a letto. Indossò la vestaglia e mise nello scaldavivande i rustici che aveva preso strada facendo. Fu solo quando ripassò diretto al soggiorno col piatto in mano che vide a terra, davanti la porta d'ingresso, il biglietto che l'architetto doveva avergli fatto passare sotto la porta.
– Oh acciderba! – Piagnucolò il signor Girone: aveva dimenticato quanto la Cinti e la Busi sapessero essere di parola. Poggiò il piatto sul cassettone e andò a raccogliere il biglietto, vergato nella nervosa calligrafia dell'architetto.

Venga da me appena rincasa. Subito.

Non c'era nome, ma non ne aveva bisogno: conosceva bene la calligrafia dell'architetto, con quella p tutta punte che sembrava un elettrocardiogramma. E soprattutto con quel suo modo di sottolineare le parole, calcando talmente la mano da lasciare il segno in rilievo dalla parte opposta del foglio.
Sto sprecando tempo a scrivere questo biglietto e so già che me ne farai perdere molto di più quando ci vedremo, perciò farai bene ad avere un buon motivo per avermi disturbato. Il messaggio implicito era fin troppo esplicito, per lui. L'idea di mangiare prima di scendere da lui lo avrebbe fatto solo ridere, se solo avesse osato pensarci. Prese la porta e scese giù fino alla porta dove la targa in ottone dorato recitava: On. Arch. Ing. Urb. Gerolamo Vezzoni e famiglia. Suonò, poi guardò l'orologio segnare le otto e venti. Forse avrebbe fatto meglio ad aspettare un po', era praticamente ora di cena e visto che giusto quella sera erano rimasti in casa…
– Chi è? – Chiese attraverso la porta blindata la voce flautata del domestico cingalese, che ormai ben conosceva.
– Sono il signor Girone, sarei atteso…cioè, l'architetto mi ha lasciato un…
La porta si aprì senza un lamento e il piccolo domestico dalla pelle dorata apparve.
– ‘Spetti qui, tu. – Intimò indicandogli una sedia. Richiuse la porta e sparì dietro l'angolo del tinello col suo passo leggero e frettoloso. Poco dopo udì una porta aprirsi e il suono di voci ovattate, troncato dal secco rumore di una forchetta sbattuta con stizza contro il piatto. La porta si riaprì e un altro passo, più pesante, arrivò fino a lui.
– Signor Girone, – Disse lo sconsolato architetto, – ma lo sa che a quest'ora la gente cerca di cenare?
– Ma io veramente sono venuto appena ho visto il biglietto perché lei…
– Sì, ma visto l'orario poteva prendersi il disturbo di telefonare!
– Oh. Acciderba, non ci ho pensato. Mi scusi, stava cenando?
– Lasciamo perdere. Signor Girone, vado subito al dunque: la signora Cinti mi ha detto che lei continua a infastidirla, nonostante io le abbia già intimato più di una volta di rispettare il lavoro della portinaia. Crede forse che solo perché la signora fa un lavoro manuale, sia da disprezzare? Crede di essere meglio di lei solo perché ha vinto un concorso?
– Ma io…
– Ha mai pensato che se non ci fosse lei, l'androne sarebbe abbandonato a se stesso, le scale sporche e magari la posta sparirebbe dalle buche? Ci ha mai pensato?
– Ma aspetti…
– Guardi, le sue convinzioni personali non mi interessano, ma non mi stupisce che una persona altezzosa e snob come lei abbia delle idee così vuote e superficiali.
– Altezzoso? ma…
– Le piacerebbe se le facessi pesare il fatto che lei ha un misero diploma mentre io mi sono laureato lavorando? O se le mostrassi quanto guadagno più di lei?
– Se solo mi lasciasse spiegare…
– Se si trattasse solo di questo potrei anche soprassedere, anche se personalmente le do torto marcio. Alla fin fine sono solo beghe fra condomini, queste. Ma non ho fatto in tempo a calmare la signora Cinti che mi telefona la vedova Busi, letteralmente fuori dalla Grazia di Dio, dicendo che stamane la voleva aggredire. Aggredire! Ma cos'è, impazzito? È un violento? Cosa le ha fatto quella povera vedova? Inoltre lo sa che il figlio è carabiniere, vuole che ci vediamo arrivare una volante? Si immagina lo scandalo che ne verrebbe? Solo perché sono una brava persona l'ho convinta a non chiamarlo, non le dico con quale fatica!
– Io la ringrazio, però non ho fatto nulla!
L'architetto si massaggiò il setto nasale come chi mal sopporta quello che la giornata ha deciso di servirgli. – Figurarsi se non era così! Guardi signor Girone, non ho voglia di discutere, men che meno con lei. Ho provato a richiamarla all'ordine più e più volte. La sua insofferenza verso le regole e il mancato rispetto del prossimo può essere tollerabile da gente civile come noi, ma non posso e non voglio permettere che un violento si metta ad intimorire i miei condomini. Pertanto, in virtù della mia carica di amministratore di condominio, nonché come suo padrone di casa, le comunico che nella prossima si discuterà dell'eventualità di allontanarla dal condominio e le dico subito che non credo proprio che ci saranno possibilità per lei di rimanere qui. Ho voluto avvisarla per darle la possibilità di cercarsi un altro alloggio, perché io, a differenza di lei, sono una brava persona. Non la trattengo oltre, visto che ho lasciato la cena a metà per riceverla. Arrivederci e buonanotte. (continua il 12 febbraio)

Paolo Failla

Sano di mente nonostante un'infanzia con classici Disney e cartoni animati giapponesi, il battesimo del fuoco arriva con i film di Bud Spencer e Terence Hill, le cui opere sono tutt'ora alla base della sua visione sull'ordine del cosmo. Durante l'adolescenza conosce le opere di Coppola, i due Scott, Scorsese, Cameron, Zemeckis, De Palma, Fellini, Monicelli, Avati, Steno e altri ancora. Su tutti Lucas e Spielberg . Si vocifera che sia in grado di parlare di qualsiasi argomento esprimendosi solo con citazioni varie. Ha conosciuto le vie della Forza con una maratona di Star Wars di oltre 13 ore.

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