Il pentito D’Amico parla e rivela nuovi scenari per l’omicidio Alfano
Un pentito riapre il processo per l'omicidio del collaboratore del quotidiano La Sicilia Beppe Alfano, ucciso sotto casa a Barcellona Pozzo di Gotto la sera dell'8 gennaio 1993.
Il processo, come ricorda l'Ansa in un lancio di agenzia, si è concluso con la condanna definitiva all'ergastolo del mafioso Giuseppe Gullotti quale mandante e di Antonino Merlino, indicato come killer.
Secondo Carmelo D'Amico, alla testa dell'ala militare di Cosa nostra a Barcellona e ora collaboratore di giustizia, il sicario non sarebbe stato Merlino, ma un altro.
Come scrive la Gazzetta del Sud, D'Amico sta ricostruendo le più sanguinose vicende di mafia dai primi anni Novanta in poi. La sua ricostruzione apre nuovi scenari su una cinquantina di omicidi e sulla mancata cattura del boss catanese Nitto Santapaola, che proprio a Barcellona avrebbe trascorso l'ultima fase della latitanza.
Alfano, insegnante di educazione tecnica nelle scuole medie e collaboratore del quotidiano catanese, lo sapeva. Le indagini riportano proprio alla necessità di coprire la latitanza di Santapaola la decisione della mafia di eliminarlo.
Il mancato arresto del boss è stato recentemente ricordato dal procuratore generale Roberto Scarpinato nel processo d'appello che si celebra a Palermo nei confronti del generale del ros Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano.
Secondo Scarpinato, anche per Santapaola il ROS avrebbe organizzato un'operazione sopra le righe, che consentì al mafioso di fuggire. Sembra inoltre che D'Amico abbia rivelato alla DDA di Messina dettagli su questa vicenda.