Il ciclista urban chic e il declino dell’impero

Ciclista chicUn tempo la bici era considerata un mezzo di trasporto popolare, usato dai contadini e dagli operai di una Italia laboriosa, ma povera. La canzone Ma dove vai bellezza in bicicletta? descriveva perfettamente quel periodo storico, in cui il massimo dell'eros era rimirare una e prosperosa fanciulla, con le gambe accavallate sul telaio della propria Bianchi.

Con il boom economico, la vespa prende il posto della bicicletta nell'immaginario popolare. L'Italia che cresce a ritmi cinesi ha bisogno di un mezzo di trasporto più veloce, adatto alla nascente società dei consumi. Dalla vespa alle quattro ruote il passo è breve: negli anni '60 la Cinquecento si afferma definitivamente come mezzo di trasporto nazional – popolare.

L'auto diventerà ben presto  il simbolo dell'uomo che non deve chiedere mai:  dalla Porche di Steve Mc Queen fino alla Ferrari di Miami Vice, passando dalla Gran Torino di Starsky & Hutch, immortalata anche nello splendido film di Clint Eastwood, l'automezzo a quattro ruote si afferma come il nuovo feticcio del maschio Alpha. Fino ad arrivare, alla fine degli anni '90, all'affermazione del SUV, espressione cafonal-chic, trasversale alle classi sociali e al genere, dell'ascesa di una nuova classe benestante.  

Come sosteneva il buon Giovan Battista Vico, nella sua teoria dei corsi e ricorsi storici, tutto torna. La bicicletta sarà rispolverata dalla soffitta con la energetica degli anni '70. Il resto è storia recente. La crisi economica degli inizi del nuovo millennio, insieme all'allarme ambientale, spingono verso un nuovo approccio, più consapevole e forse punitivo nei confronti degli spostamenti intra-urbani.

Arrivano le macchine ibride, gasate, minimal chic e, inevitabilmente, ritorna in auge la vecchia bicicletta. Solo che nel tempo (parecchio nevrotico) della società della crisi globale, il ciclista diventa trendy, iper-vitaminizzato, fisicato, griffato. Un adepto delle due ruote con manubrio, che considera la bici la proiezione del suo stile di vita urban chic.

Il popolo delle bici, però, non è più un gruppo omogeneo, come una volta.  Gli amanti delle due ruote, nella società post-moderna, si dividono in tante tribù: il quarantenne d'assalto, che partecipa a ogni gara amatoriale con la vis agonistica di un Merckx con i trigliceridi iper-trofici, la militante di sinistra radical chic assuefatta all'Aloe vera e alla bacche di Goji, che mangia solo zuppe bio, va ai vernissage e, per dirla con Moretti, fa cose e vede gente. E poi il professional sportivo esaurito, che spende tutto lo stipendio in accessori da Mountain bike e quello della moglie in psicoterapista, la sciura con i brillocchi che lascia il SUV dietro l'angolo per farsi vedere dalle amiche mentre arriva all'apericena con la fiammante bici fuxia intonata con le scarpe di Cavalli.

Infine la tribù più curiosa (e speciosa), quella del ciclista no limit. Le grandi città come Roma e Milano sono invase da impavidi temerari delle due ruote che, pensando forse di stare ad Amsterdam, scorrazzano zigzzagando in mezzo al traffico di punta, in spregio alla sorte e al buon senso. Per tacere di quei geni che, sempre a Roma, si infilano con incosciente nonchalance dentro i binari recintati della metropolitana di superficie, percorrendo le rotaie come se fossero sul lungomare di Rimini, senza cura di finire spalmati sotto il 30 barrato. Ecocompatibili, alternativi, political correct, ma sempre dei deficienti.

Il vero incubo, però, è lui, il ciclista fantasma. Percorre di notte le strade poco illuminate delle nostre città pensando che i fanali siano un optional da borghese decadente. Te lo vedi apparire davanti, mentre meno te lo aspetti, come l'olandese Volante, con indosso le mega cuffie stereo da DJ anni '70 e l'immancabile maglietta (nera) finta no global. O spesso, lo intravedi solamente, spuntare ad un tratto come un'ombra davanti a te, dopo che un formicolio dietro le orecchie ti ha suggerito che stavi rischiando l'omicidio colposo a tua insaputa.

E quando, doverosamente, ti metti a insultare tutta la sua settima generazione, l'ineffabile pedalante stordito non ti dà nemmeno la soddisfazione di una mezza reazione. Che so, un accenno di vaffa, un timido gesto con il dito medio. Anche perché, perso nel proprio mondo, probabilmente l'etereo ciclista non ti ha visto e nemmeno sentito.

L'ascesa del ciclista urbano, segno di progresso civile o presagio della fine di un'era? Le ultime notizie raccontano del sorpasso della Cina sugli Stati Uniti. Secondo alcuni analisti, il grande impero che fu della dinastia Ming ha riconquistato il primato che deteneva ai tempi di Marco Polo. E i cinesi arricchiti, memori del fatto che ai tempi di Mao la bicicletta era il simbolo dell'autarchia comunista, sono ben contenti di lasciare la bici in garage per il SUV più coatto e inquinante disponibile sul mercato. 

Magari, l'avvento del ciclista urban chic è più di una semplice moda radical chic.  E' il segno di una specie di passaggio del testimone. Adesso i cinesi si comprano l'ultimo modello di Sport Utility Vagon e noi ritorniamo alla vecchia autarchica bicicletta. Forse è davvero iniziato il declino dell'Impero Occidentale. (foto da   www.copenhagencyclechic.com)

Fabrizio Maimone

Messinese ca scoccia e romano di adozione. Ricercatore (molto) precario, collabora a progetti di ricerca su temi al confine tra sociologia, management e organizzazione, in Italia e all’estero. Insegna organizzazione aziendale all’università ed è docente di management e comunicazione. È formatore e consulente di direzione per le migliori e le peggiori aziende, italiane e multinazionali. La sua passione per la comunicazione (non solo) digitale è seconda solo a quella per la tavola, le buone letture e i viaggi.

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