I Peirce, armatori inglesi innamorati di Messina

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Una delle navi dei Peirce

Quando si parla di “decennio inglese” in Sicilia, si fa riferimento, per l'appunto, al lasso di tempo che va dal 1806 al 1815, durante il quale l'Isola rappresentò non solo un “laboratorio” costituzionale (è nel 1812 che avrà la sua costituzione, fortemente influenzata dai principi del costituzionalismo britannico), ma anche un avamposto militare dell'esercito britannico nel Mediterraneo in opposizione al dilagare in tutta Europa delle armate di Napoleone.

La Sicilia era uno snodo strategico per i commercianti in cerca di nuovi sbocchi mercantili, pesantemente vessati dal “blocco continentale” che Bonaparte aveva imposto a quasi tutto il continente europeo per boicottare il commercio inglese.

In quel decennio arrivarono in città dalla Gran Bretagna oltre 40 mercanti e tanti altri se ne aggiunsero negli anni della Restaurazione. Tra le famiglie che ebbero un ruolo di primo piano nelle vicende economiche messinesi, i Peirce furono tra i pochi a coltivare le proprie fortune fino ai primi decenni del Novecento.

Il capostipite della famiglia, Guglielmo Enrico (William Henry) Peirce, si stabilì a Messina come commerciante, sposò Maria Celesti e diede origine ad una numerosa famiglia (ben 9 figli), che intreccerà i suoi destini a quelli della città dello Stretto.

I figli di Guglielmo Peirce, infatti, parteciparono attivamente ai moti rivoluzionari messinesi del settembre 1847. Come ricorda nei suoi scritti Antonino Caglià-Ferro (insegnante di studi pubblici e privati, patriota e cospiratore), durante la rivolta tre dei figli di Guglielmo Peirce, Giovanni, Carlo e Giuseppe, parteciparono agli scontri con le truppe napoletane. Fallita la rivolta, ricercati dalla , scapparono a Malta con l'aiuto di un altro straniero, il banchiere Federico Grill, e rientrarono a Messina solo a ridosso dell'Unità.

Giorgio Peirce, secondogenito, avviò una delle attività più significative della storia economica messinese. Venuto in possesso di un immenso patrimonio finanziario-commerciale (originato dal matrimonio con Virginia Fileti), alla sua morte lasciò ai figli Giorgio e Guglielmo una società che si occupava di noleggio di mezzi marittimi.

Dei due, sarà Guglielmo ad inserirsi con sapiente mestiere nel settore dei traffici marittimi, passando da noleggiatore ad armatore. Il Peirce si imbarcò in un'impresa davvero titanica: acquistò nel 1886 il primo battello a vapore, il Beny, primo di una numerosa flotta che puntava non solo all'esportazione dei prodotti dell'agricoltura isolana verso l'Europa ma anche verso l'Atlantico.

Agli inizi del secolo i grandi cargo dei Peirce si aprirono anche al trasporto di passeggeri verso le Americhe. Città di Messina, Dinnamare, Sicania, Mongibello, Peirce, Creola, erano i nomi delle navi che solcavano le acque del Mediterraneo, oltre ai grandi transatlantici San Giorgio, San Giovanni, San Guglielmo, adibiti al trasporto degli emigranti, che lanciarono i Peirce nell'Olimpo della navigazione.

Un grande splendore, quello dei Peirce, stroncato però dal terremoto del 1908, che costrinse gli armatori a ripartire da zero, dopo la morte di Giorgio e di tutta la sua famiglia sotto le macerie, da Napoli, dove nel frattempo si era trasferito Guglielmo.

L'audace Guglielmo Peirce morirà nel 1918, lasciando il suo patrimonio al figlio Giorgio Guglielmo e portando con sé il ricordo ed i fasti di un fortunato fine secolo, che aveva visto Messina vivere da protagonista, in assoluta avanguardia, il settore dei commerci marittimi nazionali ed internazionali.

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