Giovanni Interdonato, protagonista dell’Unità d’Italia

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L'entrata di Garibaldi a Messina

Tanta e tale fu l'eco dell' dei protagonisti della vita politica isolana a cavallo della rivoluzione del ‘48, che anche la letteratura risulta, ieri come oggi, intrisa dello spirito della primavera dei popoli. Volendo segnalare uno fra i tanti riferimenti letterari ai fatti del '48, non si può non fare riferimento alla celebre opera di Vincenzo Consolo, Il sorriso dell'ignoto marinaio, strettamente connessa alla figura di Giovanni Interdonato.

La narrazione, a metà tra il romanzo ed il saggio storico, ruota intorno alle vicende di Enrico Pirajno, barone di Mandralisca, malacologo appassionato d'arte. La sua vita, dapprima vuota e frivola, subirà una svolta verso l'attivismo politico e la giustizia sociale dopo l'incontro con Giovanni Interdonato, messinese, dapprima esule di ritorno in Sicilia per l'organizzazione dei moti, poi procuratore presso la Gran Corte di Messina a giudicare i vinti del '48.

Tra finzione e realtà, Consolo racconta frammenti di storia e di storie del Risorgimento siciliano, dipingendo uno splendido affresco di eroi e comparse di quella stagione aurea, mantenendo sempre sullo sfondo una Sicilia dilaniata dalle ingiustizie politiche e sociali.

Nato a Palermo nel 1810, l'avvocato Giovanni Interdonato esercita la propria attività politica e la  professione a Messina, città d'origine della sua famiglia, che lo vede protagonista attivo degli eventi che traghettano la Sicilia dall'esperienza costituzionale del 1848 all'unità d'Italia.

Descritto dal La Farina come uomo «irritabile, febbrile e impetuoso, forte nelle avversioni, battagliero per inclinazione agitato e per natura propenso a partiti estremi e nelle nimità ingiusto» si dedica sin dalla giovinezza allo studio del diritto, esercita l'avvocatura ed è docente di diritto presso l'Università peloritana. Nel contempo, non trascura di collaborare in qualità di redattore con diversi periodici messinesi e palermitani. Già in questi primi scritti appaiono evidenti le suggestioni democratiche che caratterizzeranno negli anni della maturità la sua azione politica.

Attivo nella preparazione dei moti del gennaio 1848, Interdonato è membro del Comitato Provvisorio, poi nominato segretario della Commissione Guerra e della Commissione Finanze. Tuttavia, compito ben più importante e delicato è quello di partecipare alla Commissione mista incaricata di delineare l'assetto costituzionale da dare alla Sicilia, a partire dalla Carta del 1812.

Eletto deputato al Parlamento per il distretto di Messina, partecipa alacremente ai lavori della Camera dei . Insieme a Natoli e La Farina presenta un progetto di legge per la restituzione del Porto Franco alla città dello Stretto, abolito nel 1826.

Sempre da deputato si batte per l'abolizione della tassa sul macinato, «una delicata e altissima questione sociale: la questione del povero e del ricco» e insieme ai deputati Errante, Bertolami e Venturelli propone una mozione per l'imposizione di un prestito forzoso ai benestanti per fronteggiare la controffensiva borbonica.

Uomo di punta del radicalismo siciliano, credeva fortemente nella necessità di riforme politiche basate sull'egualitarismo e sui principi di democrazia e libertà. Particolarmente attento alle questioni sociali, Interdonato era espressione di quella borghesia delle professioni in ascesa che a cavallo del '48 negoziava con piena consapevolezza la propria candidatura alle gestione del potere.

Il fallimento dei moti e l'esclusione dall'amnistia generale accordata dal Filangieri, lo spingono alla scelta dell'esilio. Si imbarca alla volta di Malta per poi spostarsi a Parigi, Genova e Torino. Qui collabora nuovamente come redattore del periodico l'Opinione, diretto fino al 1852 da Aurelio Bianchi-Giovini, antimazziniano e carlalbertista, scrivendo articoli “ardentissimi di libertà”.

A ridosso dell'Unità, si converte su posizione politiche di fede sabauda e aderisce al Partito unitario monarchico. I numerosi insuccessi di Mazzini, infatti, avevano avvicinato verso la monarchia sabauda la maggior parte dei liberali italiani, che  ormai ritenevano che solo con il Piemonte si potesse conseguire l'indipendenza d'Italia.

Dopo l'Unità, ritorna ad esercitare l'avvocatura nella sua terra d'origine. Nominato procuratore presso la Corte Civile di Messina, nel 1862 sventa una ramificata cospirazione. Nominato senatore nel 1865, muore di colera a Palermo il 24 ottobre 1866 prima di aver prestato giuramento.

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