Crisi a Messina, Oceano: “Non bastano spot e buone intenzioni”

Lillo Oceano CGIL 20121105 GI7Q2384
Lillo Oceano, segretario generale Cgil Messina

Sette anni di crisi e Messina, secondo la classifica pubblicata oggi dal Sole 24 Ore, è l'8^ provincia italiana ad averne maggiormente subito gli effetti negativi.

Settima per maggiore calo nell'acquisto di beni durevoli (elettrodomestici, informatica, mobilio) e lontana dai valori di spesa nazionali: 637 euro contro gli 864 della media nazionale.

Meno 64% nell'acquisto di auto nuove. Perdita netta dal 2007 a oggi del 9,7% del PIL che è valutato in 14.648 euro contro una media nazionale di 23.379. Risultati pessimi anche negli altri indicatori tra i quali la disoccupazione, che in 7 anni è più che raddoppiata e, elemento grave che getta un'ombra sulle prospettive di ripresa e di fiducia delle nuove generazioni, anche un calo del 4,7% nel numero dei laureati. Un valore che nel resto del Paese tende a crescere con una media del 7,7%.

“I dati pubblicati oggi dal Sole 24 Ore danno contezza -c ommenta il segretario generale della Cgil di Messina Lillo Oceano- di come la crisi economica abbia colpito maggiormente il nostro territorio rispetto ad altri. Ciò nonostante è opinione particolarmente diffusa, ancorché errata, che la rarefazione del nostro tessuto produttivo e la dipendenza di quello esistente dal settore pubblico avrebbero determinato una minore virulenza della crisi economica.

In questi anni la Cgil di Messina, come pochi altri osservatori attenti, ha raccolto e analizzato dati, sia quelli generali che quelli di dettaglio della qualità e quantità delle vertenze. Abbiamo segnalato la destrutturazione della capacità produttiva e la perdita di vocazioni che hanno caratterizzato la storia economica del nostro territorio, chiedendo misure di contrasto che tenessero conto delle caratteristiche con cui la crisi ci colpiva e delle misure che servivano a contenere i danni e costruire il rilancio.

Abbiamo sempre pensato che la nostra condizione sia particolarmente difficile, perché alla progressiva destrutturazione delle nostre vocazioni produttive non facevano da contraltare né una significativa iniziativa privata né una qualsiasi attività di indirizzo, progettazione e programmazione da parte del settore pubblico.

In questi anni abbiamo pagato assenza di politiche industriali a livello nazionale, ma anche (se non soprattutto) assenza di progettualità e iniziativa da parte delle istituzioni locali. Ricostruire un tessuto produttivo in un territorio che da questo punto di vista è andato incontro ad una vera e propria desertificazione è compito arduo, che richiede competenze, immaginazione, determinazione.

Serve immaginare un progetto alto che ricostruisca lo sviluppo e la vocazione produttiva oltre facili, scontati e inconcludenti stereotipi. Serve una azione forte di coesione tra soggetti istituzionali, di rappresentanza sociale e forze produttive. Sono necessarie alleanze tra territori e popolazioni.

È necessaria una forte rivendicazione di infrastrutture idonee a garantire dignità e prospettive di sviluppo e delle risorse per realizzarle. La condizione di impoverimento di sempre più larghe fasce di popolazione, il dramma della disoccupazione che colpisce i giovani, ma anche gli adulti, la perdita di reddito da parte dei nuclei familiari che determina la perdita di speranza e la ripresa di una forte migrazione giovanile ma non solo, intellettuale ma non solo, dove i nostri giovani laureati emigrano per andare a fare i camerieri a Londra, richiedono oggi la strenua difesa di ogni posto di lavoro, ma contemporaneamente un serio sforzo per un progetto di sviluppo, diverso, migliore, capace di restituire la speranza e di valorizzare le nostre risorse.

A cambiare le cose non bastano spot e buone intenzioni. Servono valori e regole, ma anche la capacità di saperli rendere concretamente opportunità di crescita e di speranza. Si muore di molte cose: si muore di povertà, di impossibilità ad accedere alle cure o alla prevenzione, si muore di disperazione, si muore di solitudine.

Impegnarsi per immaginare e costruire un modello di sviluppo, nuovo e alto è una sfida che può essere ingaggiata se si è capaci di dar valore alle diverse idee, posizioni e necessità. La politica, che deve avere un progetto compiuto, deve assumere la capacità di essere sintesi e mediazione, luogo di contaminazione e di crescita senza temere le critiche, senza presumere autosufficienza, con la capacità di discernere nel merito delle questioni, con attenzione ai principi e ai valori, senza provincialismi e banali cliché”.

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