Attilio Manca, la mafia e la giustizia che non c’è

AttilioManca
Attilio Manca, l'urologo assassinato dalla mafia

Sarà anche vero, oltre che terribilmente chic, dichiarare che le sentenze non si commentano. Nel caso del GIP di Viterbo Salvatore Fanti si possono solo fare supposizioni, perché le motivazioni che sono alla base della sua decisione di disporre l'archiviazione per cinque dei sei indagati per la morte dell'urologo di Barcellona Attilio Manca devono ancora essere pubblicate.

Visto però che per il giudice Fanti i barcellonesi Salvatore Fugazzotto, Ugo Manca (cugino della vittima), Lorenzio Mondello, Andrea Pirri e Angelo Porcino non risultano coinvolti nell'omicidio di Attilio Manca (ché di questo si tratta, di un omicidio e non di overdose come invece fa pensare questa decisione del GIP) allora sarebbe opportuno e rispettoso per la famiglia che dal febbraio del 2004 lotta per far luce su quello che è davvero successo, chiarire un paio di punti.

Per esempio, il dottor Fanti dovrebbe spiegare come sia possibile che un mancino incapace di compiere le azioni più semplici con la destra come per esempio accendersi una sigaretta (ci sono le foto che lo provano) per ben due volte sia riuscito ad iniettarsi un mix di eroina e tranquillanti nel braccio sinistro.

Dovrebbe spiegare come mai abbia accreditato che sia morto per overdose (deduzione logica in attesa di leggere le motivazioni della sentenza perché adesso l'unica imputata è la romana Monica Mileti, che avrebbe fornito all'urologo la dose fatale) visto che sul corpo di Attilio Manca non c'erano segni di altre iniezioni sia recenti che passate, foss'anche per una banale sciatalgia.

Dovrebbe spiegare come mai un morto per overdose avesse braccia e gambe piene di ecchimosi e il setto nasale deviato. Su quest'ultimo punto, in un primo momento gli inquirenti hanno persino tentato di giustificare il viso gonfio e tumefatto sostenendo la teoria che nella caduta Manca fosse atterrato sul telecomando della televisione.

Oggetto che come tutti sanno è pericolosissimo e per questo è tenuto lontano dalla portata dei bambini. Hai visto mai che 80 grammi di plastica si trasformino in un'arma impropria. Poi, probabilmente in un attimo di lucidità, hanno lasciato perdere questa ipotesi.

E veniamo agli aspetti ridicoli di questa dolorosissima vicenda. Prendendo per buona la teoria che la mafia barcellonese non c'entri con la morte dell'urologo (la famiglia aspetta la sentenza e poi deciderà come andare avanti, ma la battaglia si preannuncia lunga) per il GIP di Viterbo la sola altra possibilità è che sia morto per overdose.

Quindi, secondo il dottor Fanti, dopo essersi iniettato non una, ma due dosi letali di droga con la mano destra (provate a chiedere ad un mancino di infilare del filo in un ago da cucire con la mano destra e osservate la sua reazione: se vi va bene, vi propone di andare da qualcuno bravo che vi curi) Attilio Manca sarebbe stato preda anche di un delirio da casalinga disperata e avrebbe accuratamente pulito la casa da qualsiasi traccia, visto che le analisi effettuate dopo la sua morte avrebbero rilevato la presenza di pochissime impronte digitali, aspetto questo sul quale torneremo più avanti.

Poi, non contento, avrebbe pensato bene di gettare le due siringhe nel cestino dell'immondizia, avendo anche cura di tapparne una. Perché è cosa nota che la prima preoccupazione di qualsiasi drogato che si rispetti subito dopo essersi iniettato una dose è che l'ago della siringa deve essere coperto per evitare che qualcuno si faccia male.

Altro passaggio fondamentale è che abbia usato due siringhe invece di una. I drogati di oggi signora mia non sono più quelli di una volta, che con una sola siringa si drogavano minimo in cinque, sei. I giovani di oggi sono sciuponi, si sa. E così Attilio Manca, ottimo medico attento alla possibile trasmissione di germi, avrebbe usato ben due siringhe per due iniezioni diverse.

Ecco, sarebbe carino se nelle motivazioni del dottor Fanti ci fossero spiegazioni su tutti questi passaggi. Extra sentenza invece vorremmo sapere come sia possibile che a tutt'oggi la famiglia e il legale che la rappresenta non abbiano ricevuto alcuna comunicazione ufficiale, mentre uno degli indagati ha annunciato urbi et orbi da Facebook già una decina di giorni fa che “l'incubo era finito”.

“Non sappiamo nulla -conferma Angela Manca, madre dell'urologo assassinato. Prima di Ferragosto ci hanno segnalato che su Facebook era comparsa questa notizia, ma né noi né l'avvocato Fabio Repici abbiamo ricevuto alcuna informazione dalla Procura di Viterbo. Quel poco che sappiamo lo abbiamo letto sui giornali. Non sappiamo ancora cosa faremo e come ci muoveremo. La sola certezza è che ci fermeremo solo quando emergerà la verità”.

“È difficile capire cosa si possa provare -scrive su FB Gianluca Manca, il fratello di Attilio. E' difficile comprendere e percepire il dolore, la rabbia, il senso di impotenza di fronte all'ingiustizia, di fronte a quella vita rubata, dilaniata e calpestata da persone perverse che cercano, costantemente, di rovinare ancor di più la mia vita e quella dei miei genitori. È per questo che lotto. Lotto perché altri non possano provar mai, nella loro vita, ciò che stiamo provando noi! Non voglio che vi siano altri Attilio Manca… Non voglio che vi siano altri Gino, Angela e Gianluca Manca. Bastiamo noi”.

E' una storia strana quella della morte di Attilio Manca. Urologo barcellonese che lavorava nell'ospedale di Viterbo, uno dei pochissimi al tempo della sua morte a operare in laparoscopia.

Da subito alla famiglia le indagini appaiono lacunose e piene di contraddizioni. A partire dal fatto che non c'è alcuna traccia di una telefonata tra Attilio Manca e la presunta pusher nei due mesi precedenti la morte del medico. Di contro, non sono mai stati consegnati, nonostante siano stati richiesti più volte, i tabulati relativi alle telefonate tra Attilio Manca e la sua famiglia del 2003, mentre sembra svanita nel nulla una telefonata tra Manca e i genitori pochi giorni prima della morte.

Altra stranezza è che un medico giovane, formatosi anche all'estero, ricercatissimo proprio per la sua specializzazione, sempre scrupolosissimo in sala operatoria come hanno confermato colleghi ed infermieri, decida all'improvviso di drogarsi.

Perché con buona pace di chi ha messo in moto la macchina del fango made in Barcellona poco dopo la sua morte, quando la famiglia ha iniziato a collegare fatti, date e persone, Attilio Manca non era un drogato. Se lo fosse stato, la famiglia non avrebbe avuto difficoltà ad ammetterlo davanti all'evidenza dei fatti, che però non c'è.

E poi c'è la storia del computer sparito, dell'appartamento tirato a specchio come se ci fosse passato un esercito di colf strapagate ed esperte in cancellazione delle impronte, visto che di quelle rimaste quattro sono state attribuite all'urologo, cinque a persone non identificate ed una al cugino Ugo Manca, coinvolto in un processo per droga dal quale poi ne venne fuori assolto.

Impronta, quella di Ugo Manca, che secondo quest'ultimo risale ad una visita fatta un paio di mesi prima e miracolosamente sopravvissuta a 8 settimane di pulizie, ai vapori dell'acqua calda e simili. Roba che neanche a Lourdes. Lo stesso cugino che alla notizia della morte si precipitò a Viterbo per chiedere il dissequestro dell'appartamento di Attilio Manca e la restituzione del corpo.

Abbastanza strana anche la vicenda dell'autopsia. Eseguita da Dalila Ranalletta, moglie del primario Antonio Rizzotto del reparto di urologia dell'ospedale Belcolle di Viterbo, del quale il medico barcellonese era l'aiuto. Che fosse quanto meno discutibile che una moglie fosse coinvolta come tecnico in un processo quando il marito era già stato ascoltato come testimone non sembrò strano a nessuno, ma l'Italia è anche  questo. Salvo il fatto che l'autopsia fu ritenuta talmente lacunosa che il GIP fu costretto a farla integrare.

E non è tutto. Perché non ci fu alcun accertamento rispetto alla presenza a Viterbo di Angelo Porcino, accusato altrove di tentata estorsione, e nonostante siano testimoni fondamentali, non sono mai stato ascoltati i genitori ed il fratello di Attilio Manca.

Scivolano sull'acqua dell'oblio anche due concidenze fondamentali. La prima è la presenza di Attilio Manca per lavoro a Marsiglia negli stessi giorni (ottobre 2003) e negli stessi luoghi in cui Bernardo Provenzano, ancora latitante, fu operato alla prostata proprio con il sistema utilizzato dal medico. La seconda è la morte del  Francesco Pastoia, che si uccise in carcere il 28 gennaio 2005 dopo essere stato intercettato mentre raccontava di un urologo che avrebbe visitato Provenzano nel suo rifugio da latitante in convalescenza nei dintorni di Viterbo.

Resta poi capire perché per ben otto anni non siano state esaminate le due siringhe trovante nell'appartamento di Attilio Manca, quando qualsiasi principiante del settore sa che in casi del genere è fondamentale intervenire subito.

Insomma, in questa vicenda troppe reticenze, troppe stranezze, troppi silenzi. Compreso quello del presidente del Senato Pietro Grasso. Che da Procuratore Nazionale Antimafia, alla richiesta della famiglia di fare chiarezza sulla vicenda, tramite un giornalista fece sapere che si sarebbe mosso solo dopo avere ricevuto dai Manca i tabulati che provavano la presenza dell'urologo a Marsiglia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *