#Agrigento. Confiscati a Canicattì beni per sette milioni e mezzo a Calogero Di Gioia
Il Nucleo di polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Agrigento ha confiscato al 67enne di Canicattì Calogero Di Gioia beni mobili e immobili per un controvalore di sette milioni e mezzo di euro. L'uomo secondo gli inquirenti sarebbe legato a Cosa nostra
Le Fiamme Gialle hanno raggiunto questo risultato dopo un lungo iter giudiziario avviato nel 2009, quando il Tribunale di Agrigento ha rigettato una prima proposta di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali. In seguito all'opposizione della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, la V Sezione Penale e per le Misure di Prevenzione della Corte di Appello di Palermo ha disposto la confisca del capitale sociale e del compendio aziendale della società Di Gioia Metallurgica Srl, con sede a Canicattì, riconducibile Calogero Di Gioia.
E così, i finanzieri, ai sensi della vigente normativa antimafia, hanno posto i sigilli sul compendio aziendale della società di carpenteria metallica costituito da capitale sociale, beni immobili, automezzi, disponibilità finanziarie, attrezzature, macchinari da lavoro e prodotti finiti. I beni oggetto di confisca sono stati affidati a un amministratore giudiziario nominato dalla Corte di Appello.
L'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale conferma l'elevata pericolosità sociale di Di Gioia, determinata dall'appartenenza a Cosa nostra, come emerso dall'indagine Camaleonte, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo” – spiegano dal Comando provinciale della Guardia di Finanza di Agrigento.
Dalle indagini, infatti, è emerso come Di Gioai fosse stato l'anello di congiunzione tra il boss Giuseppe Falsone, all'epoca latitante e rappresentante provinciale di Cosa nostra, con Bernardo Provenzano, Antonino Rotolo, Carmelo e Giovanni Cancemi, in quegli anni al vertice dell'associazione mafiosa.
“La contiguità a Cosa nostra – aggiungono dal Comando provinciale – è dimostrata anche dal fatto che Di Gioia, oltre a partecipare a riunioni ed incontri tra esponenti mafiosi della provincia di Agrigento e Palermo, ne era il referente nella gestione di attività economiche nel settore della grande distribuzione alimentare e dell'edilizia, acquisendo commesse e appalti in virtù della sua appartenenza all'organizzazione criminale e rafforzarne le relative proiezioni affaristiche e finanziarie nel territorio di Canicattì”.